Onward – Oltre la magia

SPUNTO n° 102

Il cinema d’animazione ha sempre potuto giocarsi meglio dei live action la carta dei mondi fantastici e immaginari. Anche se da decenni i film interpretati da persone reali cercano di esplorare con alcuni espedienti mitologia, mondo animale, mondo magico ecc… (ovviamente tecnologie del tempo permettendo) il cinema d’animazione ha sempre avuto la possibilità di portare sullo stesso piano ciò che fa parte del nostro mondo con ciò che invece è al di fuori del nostro normale vivere.

La lettera del padre

La Pixar, ad esempio, ha dimostrato più volte come si possano ipotizzare e realizzare altre realtà o altri punti di vista: il mondo dei giocattoli (Toy story), quello degli insetti (A Bug’s life), dei mostri (Monsters & Co.), oppure dei pesci (Alla ricerca di Nemo), delle automobili (Cars – Motori ruggenti), della mente (Inside out), dei trapassati (Coco)…
Il 2020 ha portato il famoso studio cinematografico a cimentarsi con un mondo che stranamente, dato che di solito è molto sfruttato, aveva preso in considerazione una sola volta con Ribelle (The brave). Soprattutto considerando i grandi mezzi della Pixar e il loro potenziale.

Stiamo parlando del mondo della magia, forse il primo (o comunque certamente fra i primi) immaginario concepito dall’umanità.
Onward – Oltre la magia” è il lungometraggio che porta la Pixar su questa nuova strada per quanto, come suggerisce il titolo, il film miri ad affrontare ben altro. Ma non andrò subito ai contenuti… ordine.

Diretto da Dan Scalon, già regista per Monster University, Onward è il 22° lungometraggio animato realizzato dalla Pixar. Il suo lancio, iniziato i primi giorni di marzo del 2020 nelle sale cinema degli Stati Uniti, è stato stroncato dai recenti eventi (la crisi dovuta al COVID-19) che tanto hanno modificato le nostre abitudini. La sua distribuzione è proseguita così alternando piattaforme online di streaming e, nei momenti meno gravi della pandemia, apparizioni veloci nei cinema dei vari Paesi. In Italia è arrivato sui grandi schermi il 19 agosto ma ci sono voluti svariati altri mesi perché fosse possibile trovarlo nel catalogo italiano di Disney+, il film infatti vi si trova disponibile solo dal 6 gennaio di quest’anno.

Trama
La prima magia di Ian

In un mondo fantastico una voce fuori campo introduce velocemente come fossero le cose prima dell’arrivo della modernità. Streghe, maghi, maghe e stregoni svolgevano fondamentali funzioni di supporto al quieto vivere e allo sviluppo delle società e solo pochi, dopo molte fatiche, potevano ambire a diventare uno o una di loro. Ma il progresso, come nel nostro mondo, è avanzato a passi da gigante finendo per confinare la magia agli angoli. Dimenticata, ridotta a un gioco o ad una favola, la magia è divenuta lontana eco di un passato incerto…
La scena si sposta al presente e entriamo di soppiatto nella giornata di due giovani elfi, fratelli: Ian, neo sedicenne in cerca della sua strada, e Barley, fratello maggiore con uno spiccato lato nerd che lo porta ad appassionarsi di magia, sebbene non sia in possesso di poteri, e di storia, in particolare di quell’epoca che pare esser stata l’equivalente del nostro medioevo.
I due sono orfani del padre del quale sentono fortemente la mancanza. Soprattutto Ian dimostra molto di soffrire il non aver avuto tempo da condividere con lui, tanto che un incontro casuale al bar con un vecchio compagno di studi del padre sembra donargli in pochi secondi la possibilità di crearsi almeno una vaga idea di che persona fosse. Quelle poche frasi scambiate in fretta con uno sconosciuto diventano insieme desiderio e stimolo per il futuro Ian che sull’onda dell’entusiasmo si pone una serie di obbiettivi su sfide che aveva fino ad allora evitato, concludendo la lista con “essere come papà” del quale conosce poco ma ammira tanto.
La giornata procede fra tentativi e fallimenti ma inaspettatamente arriva un regalo dal passato a rendere speciale, sia per Ian che per Barley, quel giorno. Insieme allo strano oggetto Wilden Lightfoot, questo il nome del defunto padre, ha lasciato ai figli una lettera con la quale spiega ai figli di aver preparato prima di morire un piano per poterli vedere una volta diventati due ometti… una magia!

Grafica, colonna sonora e contenuti

Semplicemente fantastico l’aspetto tecnico dell’animazione, oramai il minimo che ci si possa aspettare dalla Pixar è un ottimo prodotto in CGI, in alcuni momenti il realismo è tale da scordarsi che stiamo guardando un film d’animazione. Sono rimasto personalmente colpito dai particolari nella scena nella quale Ian scrive la propria lista di obbiettivi. Soffermandosi sulle immagini che inquadrano il blocco di fogli sul quale il giovane elfo scrive vediamo una mano quasi umana, a parte il colorito della pelle certo. Il movimento della penna, le unghie, le scritte non perfette ma fra di loro armoniche sono rese in maniera perfettamente realistica.

L’epica impresa, come in molti grandi titoli del mondo fantasy, si compie attraverso un viaggio pieno di imprevisti.

La colonna sonora per Onward è stata composta e diretta da Mychael Danna e Jeff Danna, duo di fratelli canadesi che spesso collaborano fra di loro, ed è raccolta in un album omonimo insieme al brano che accompagna i titoli di coda. Di Mychael Danna è possibile ricordare la non lontana vittoria agli Oscar per la colonna sonora di Vita di Pi.
In generale non posso dire di esser rimasto colpito, per quanto appaia piuttosto chiaro che dietro ai 44 brani che si susseguono durante il film ci siano delle esperte menti musicali. Se infatti è giusto affermare che il compito assegnato viene decisamente assolto senza pecche, vero è anche il fatto che le emozioni più grandi arrivano dalla storia in maniera indipendente delle musiche.
Ben più azzeccata al contesto ed emozionante risulta invece la canzone interpretata da Brandi Marie Carlile, e scritta dalla stessa pluripremiata cantante americana insieme a Timothy Jay Hanseroth e Phillip John Hanseroth: Carried you with me. Dallo stile country e nostalgico il brano probabilmente nasce come canto romantico sul percorso di una coppia ma ben si adatta in alcuni passaggi all’amore che può esserci anche fra due amici o, come nel caso di Onward, fra due fratelli.

Ricollegandoci all’inizio di questo nostro breve articolo andiamo ora a concentrarci sui contenuti. Il titolo originale “Onward” si rivela stranamente meno azzeccato di quello a traduzione italiana. Perché? Il motivo sta semplicemente in quanto viene riassunto in quelle 3 parole aggiunte rispetto all’inglese:

“oltre la magia”.

È il film stesso che dà l’illusione di centrarsi sulla magia come tema prevalente, almeno questo sembra trasparire dal prologo iniziale che viene narrato, in italiano, con la voce di Fabio Volo (riconoscibile anche in Po di Kung fu panda per gli appassionati).
Ma è durante la visione che ci rendiamo conto di esser cascati in un trappolone: la magia è solo il contorno, un guscio molto molto sbrilluccicante con la sola funzione di avvinghiare il nostro interesse. Certo la parte magica in un film è decisamente gradevole, anche perché altrimenti l’universo fantasy crollerebbe quasi del tutto, ma superando questo ammaliante contesto si arriva ai temi prescelti per lo svolgimento della storia: la perdita di una persona cara; il legame fra fratelli; il farsi “elfo” (uomo o donna in questo caso sarebbero stati errati); ma più di tutto l’attenzione viene posta sull’evoluzione del più giovane dei due protagonisti, Ian, e sulla sua epifania che lo porta da rimpiangere ciò che ha prematuramente perso a sentirsi grato per quanto gli viene donato giorno per giorno. Ancora tante emozioni quindi e tanti sentimenti anche se, forse, ci si poteva puntare di più rispetto ai pochi minuti finali.

Onward – Oltre la magia è un film per tutti. Per i più piccini, affascinati da ogni incantesimo e scena d’avventura; per le famiglie; per i più grandi, per guardare bene ai doni ricevuti; per i fratelli e le sorelle, per non scordarsi gli uni degli altri.

Non riesce certamente come uno dei più potenti film a marchio Pixar ma nemmeno si posiziona male in un’ipotetica classifica.
Voto 6 e mezzo

Trova la Luxo Ball

Note
1) Durante il film sono presenti numerose chicche semi nascoste qua e là ma in particolare mi senti di farvene notare un paio:
la prima, la Luxo Ball, la palla che si presenta per la prima volta nel famoso corto animato della Luxo Junior nel quale la famosa lampadina che diverrà parte fondamentale delle sigle Pixar gioca con una palla gialla, blu e rossa. Nel film la ritroviamo citata su uno degli scudi appesi al muro della locanda della Manticora;
la seconda, sempre nella locanda della Manticora, il motivetto di Buon compleanno cantato dai camerieri ad una bimba. Si tratta dello stesso motivetto che Yzma subisce al ristorante ne Le follie dell’imperatore;
2) Il primo personaggio omosessuale della Disney: anche se non dovrebbe fare scalpore inutile negare che sia una cosa nuova, e anche se in molti Paesi la cosa è stata censurata (se non tutto il film), ci voleva!

George and Rosemary

SPUNTO n° 101

Con lo SPUNTO n° 101 torniamo finalmente a parlare di un cortometraggio animato. Candidato all’Oscar come miglior corto d’animazione per l’anno 1987 “George and Rosemary” presenta, in soli 9 minuti, un aspetto meno conosciuto del mondo della terza età.

George in postazione in veranda

La trama è piuttosto semplice…
Dalla finestra di una casetta, carina ma simile a mille altre, un anziano signore, di nome George,fa capolino dimostrando a più riprese uno spiccato interesse per la vicina dell’abitazione di fronte.
Spostamenti, abitudini e preferenze della donna sono ormai noti al nostro protagonista che passa le giornate in veranda o dal davanzale di camera sua a fantasticare innumerevoli modi per manifestare i propri sentimenti all’amata. Altri pensieri volano invece ancora più avanti, mostrandoci quali momenti romantici vorrebbe vivere insieme alla dolce Rosemary (così si chiama la signora).
Passa il tempo e a passi di formica il nostro George compie dei timidi tentativi di approccio, frenati purtroppo dalla sua grande timidezza. Un giorno tuttavia riesce a vincere il proprio imbarazzo e tenta il tutto per tutto bussando alla porta dell’amata e facendo una scoperta che neanche immaginava…

La dolce Rosemary osservata speciale

I due registi, Alison Snowden e David Fine, hanno preso l’ispirazione per questo breve film da alcuni incontri avuti con ospiti di case di cura e altre persone anziane. Parlando con loro si sono resi conto che, nonostante l’età avanzata, uno degli interessi maggiormente manifestati è proprio quello della storia d’amore.
Il romanticismo, così come la passione, non muore mai e l’obbiettivo di questo corto è proprio di portarci a riflettere su questo meno evidente aspetto di un mondo che abbiamo vicino.

Animazione molto semplice in 2d non intende certo spiccare per i dettagli del disegno che tuttavia si fa apprezzare per le attenzioni agli stati emotivi del protagonista. I colori utilizzati sono tenui e permettono alla narrazione di assumere un senso quasi favolistico.
Da evidenziare i momenti nei quali lo spettatore si ritrova dentro la vicenda dal punto di vista, letteralmente, di George. Per pochi e veloci attimi viviamo ciò che vive lui.

Colonna sonora in rapido continuo divenire a causa della veloce evoluzione dei pensieri e delle azioni di George. Nei momenti cruciali una voce fuori campo si fa viva per integrare la narrazione là dove la semplice intuizione dello spettatore non potrebbe giungere.

Il momento del coraggio

Semplice, non banale ma nemmeno scintillante, George and Rosemary punta sulla tematica, come del resto fanno quasi tutti i cortometraggi, e ci porta dentro ad una realtà che fatichiamo a vedere dall’interno.

Timidoni fatevi avanti!

Voto 6 e mezzo

P.S: qui trovate il link al video

Dragon trainer 2

SPUNTO n° 100

In merito a questo articolo vorrei iniziare premettendo che ci sono 3 tipi di persone: quelli che sono rimasti scossi da alcuni momenti del film del quale stiamo per parlare; quelli che hanno pianto come una fontanella e quelli che mentono. Quando un mio caro amico, che aveva avuto la possibilità di andare al cinema prima di me, mi disse, rispondendo alla mia banale domanda su come fosse il film, testuali parole: “eh…peso”, pensai che fosse un giudizio sia sintetico che, forse, un tantino esagerato, soprattutto considerando che si tratta comunque di un film d’animazione con come target anche bambini piuttosto giovani.
Beh, di nuovo, mi sbagliai. Come vedremo più avanti il film si presenta molto accurato nel racconto, nei dettagli ma soprattutto sceglie di puntare sempre su un livello non scontato dei contenuti.

Allo SPUNTO n° 50 abbiamo avuto modo di parlare del lungometraggio d’animazione di successo della Dreamworks Animation che ha come protagonisti un giovane e mingherlino ragazzo, un drago estremamente tenero e giocoso, e la loro straordinaria storia d’amicizia: Dragon trainer (titolo originale How to train your dragon).
Adesso, per lo SPUNTO n° 100, vedremo insieme come sia stato realizzato il secondo capitolo di questa fantastica storia.

Proiettato in anteprima al Festival di Cannes 2014 e un successo di incassi, Dragon trainer 2 ha superato al botteghino il suo predecessore di più di 100 milioni e anche la critica ha dimostrato di gradire abbastanza.
Diretto da Dean DeBlois e sempre tratto dalla serie di libri per ragazzi di Cressida Cowell, questo lungometraggio è stato distribuito in Italia dalla 20thCenturyFox dall’11 di agosto del 2014.

Il misterioso cavaliere

Ma andiamo alla storia…

La narrazione riprende a circa cinque anni dai fatti mostrati nel primo film e ritroviamo tutti i simpatici personaggi che tanto ci avevano coinvolti. Stoick, Skaracchio, Hiccup, ormai giovane uomo, e tutti i suoi amici… Ah! E, ovviamente, Sdentato.
Berk è ormai un modello di integrazione fra draghi e uomini e Hiccup è visto da tutti come il futuro capo dell’isola, cosa che ovviamente lo spaventa e lo porta a cercare rifugio altrove ogni volta che ne ha l’occasione. Purtroppo l’idillio fra draghi e umani è destinato ad essere turbato ma stavolta la minaccia non arriva dal mondo animale. Un antico nemico infatti si riaffaccia dal passato del popolo vichingo, tanto che solo Stoick può raccontare di averlo incontrato. Drago Bludvist sta radunando ogni drago che riesce a catturare ma un misterioso cavaliere di draghi si frappone fra lui e il dominio totale…

Battaglia aerea

Sempre di alto livello, l’animazione digitale della Dreamworks non delude. Anche se molto caricaturali in alcuni tratti i personaggi si riconfermano stupendamente caratterizzati. Le scene di volo e di battaglia invece sono ancor più spettacolari che nel primo film ma a guadagnare davvero tanto, ed era difficile, sono proprio gli amici a scaglie dei berkiani, che vengono migliorati nei dettagli e aumentati nel numero. Infatti ci vengono mostrate nuove specie di draghi della cui esistenza non sapevamo.

Per la colonna sonora “cavallo che vince non si cambia”. Infatti è stato nuovamente John Powell ad occuparsene, che già aveva sfiorato l’Oscar con il primo Dragon. Il numero totale dei brani è di 19, tre dei quali composti da Jón Þór Birgisson, voce dei Sigur Rós, (gruppo musicale post-rock islandese). Anche Where no one goes,la canzone che accompagna la sigla finale, così come in Dragon Trainer, è di Birgisson.

Chicca del film dal punto di vista musicale è il canto interpretato direttamente dalle voce degli attori che doppiano Stoick e Skaracchio (rispettivamente Gerard Butler, Craig Ferguson. Per Valka invece la voce cantata è di Mary Jane Wells mentre il resto del suo doppiaggio è stato affidato a Cate Blanchett). In italiano il titolo del brano è stato malamente tradotto in Se tu mi sposerai ma quello in lingua originale era For the dancing and the dreaming. Brano particolarmente toccante, accompagna il momento del ricongiungimento della madre con Hiccup e suo padre dopo anni di lontananza da casa.

Uno straziante momento del film

Se il primo Dragon trainer, affrontando le tematiche della diversità, del rapporto padre figlio, dello scoprire la propria strada nella vita, del trovare fiducia in se stessi e dell’amicizia, si proponeva senz’altro come un prodotto molto denso di tematiche anche il suo sequel non si dimostra certo da meno. Il lutto, il ricongiungimento familiare, la risoluzione di alcuni conflitti, la presa di consapevolezza di sé e un altro salto di crescita fanno da spina dorsale alle emozioni suscitate a grandi ondate durante lo scorrere dei minuti. Che sia una scelta, mi auguro di si, o un caso alcuni sbalzi emotivi si rivelano particolarmente forti anche e soprattutto per gli adulti.
Con Hiccup, che forse alle volte appare fin troppo perfetto, si sente di crescere mentre cresce lui, di soffrire quando soffre lui ma soprattutto si sente il desiderio di piangere e di urlare, che scalza quell’essere attoniti tipico di certi momenti di estasi o tensione.

Le tematiche pesanti non devono tuttavia scoraggiare dalla visione del film i più piccoli, che magari possono aver bisogno di una figura accanto rassicurante o che possa comunque alleggerire certi momenti. Film gradevole per tutti, ci lascia col fiato a metà in attesa del terzo e ultimo capitolo. Da vedere e rivedere.

Voto? 8 e mezzo, con riconferma e applausi!
Succede di rado di ripetere un prodotto di qualità a certi livelli.

Quando c’era Marnie

SPUNTO n° 99
La copertina del romanzo

All’udire il nome Studio Ghibli è facile che la nostra mente compia in pochi istanti il balzo che porta ai nomi di Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Ovviamente molte delle opere realizzate dal famoso studio cinematografico d’animazione giapponese di Koganei (città di medio-piccole dimensioni conurbata con la più nota Tokio) portano la firma, in regia, proprio dei due cofondatori, ma tramite lo Studio Ghibli molti altri hanno potuto fare il salto di qualità dal certosino lavoro dell’animatore al ben più stressante lavoro di regia.

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Hiromasa Yonebayashi

Uno dei nomi che si accosta a quest’ultima descrizione è quello di Hiromasa Yonebayashi, attualmente il più giovane regista dello studio. Cresciuto professionalmente come animatore, Yonebayashi ha lavorato alla produzione di noti titoli apparsi sui grandi schermi fra la fine degli anni ‘90 e il primo decennio del XXI secolo: Principessa Mononoke, La città incantata, Il castello errante di Howl, Ponyo sulla scogliera e I racconti di Terramare sono forse i più noti al grande pubblico. Nel 2010 il debutto alla regia con Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento, che fu un successo di pubblico e critica, e nel 2014 viene distribuita la sua seconda opera, e nostro argomento di oggi, Quando c’era Marnie.
Tratto dall’omonimo romanzo per ragazzi (1967) della scrittrice britannica Joan Gale Robinson, il film ci racconta della disavventura estiva di una ragazzina di nome Anna.

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L’arrivo a casa dei parenti

La storia comincia a Sapporo, dove Anna vive con la madre adottiva. Fra le due si è sviluppato un rapporto che, vuoi per le ansie della madre, vuoi per il carattere scontroso e introverso della ragazzina, fatica a sbocciare nell’armonia. Altre scene del quotidiano di Anna ci fanno capire quanto la ragazzina si senta sola e quanto di questo si incolpi. Anche le coetanee la definiscono “tranquilla” per esprimere quanto sia distante e diversa da loro.
Un giorno Anna viene colpita da uno dei suoi consueti attacchi d’asma e, su consiglio del medico, la madre decide di trovarle una sistemazione provvisoria per la stagione estiva presso alcuni parenti che abitano a Kissakibetsu, in una regione molto più salubre per coloro che soffrono di questa rognosa patologia. I due coniugi Kiyomasa e Setsu accolgono a braccia aperte la ragazzina, quasi come fosse la nipote che ancora i figli non hanno dato loro, e cercano di lasciarle ogni spazio possibile, sia fisico che sociale, pur creando intorno a lei alcune occasioni di relazione e incontro. Se la permanenza in riva al mare aiuta notevolmente Anna con i problemi dovuti all’asma lo stesso non si può dire per i suoi lati caratteriali che, quasi a difesa, arrestano ogni tentativo dall’esterno di avviare un’interazione.

La festa del Tanabata

Solitaria e pensierosa, Anna trascorre la maggior parte del suo tempo a disegnare schizzi e un giorno, in un moto interiore di origine ancora sconosciuta, si avventura all’esplorazione di una vecchia villa sovrastante l’acquitrino che si trova nei pressi della pacifica cittadina. Una sera la curiosità per quel luogo, e una strana coincidenza di più fattori, la spingono a visitare nuovamente quella vecchia dimora dove un incontro al tempo stesso atteso e sorprendente le scombussolerà certezze e timori.

Punta di diamante dello studio Ghibli è la capacità di saper far rendere ogni paesaggio, ogni ambiente, al massimo del proprio potenziale. Colori, disegni e scenografie mostrano sempre quel qualcosa in più e Quando c’era Marnie non fa eccezione. Il gioco di luci con cui la laguna antistante la villa, centro di tutto il racconto, viene illuminata e decorata seguendo lo scorrere del sole e della luna durante il giorno e la notte dimostra una volta di più l’importanza del ruolo del disegnatore.
I personaggi, a differenza di altre opere dello studio Ghibli, sono tutti ben distinti e caratterizzati evitando di creare confusione nello spettatore (soprattutto in quello occidentale). La madre, gli zii, Marnie, la stessa Anna e altri personaggi di minor rilievo non presentano fra loro neanche un punto in comune, almeno a livello di aspetto, e personalmente la trovo una mossa più che azzeccata. A esser precisi tuttavia un piccolo particolare in comune fra Anna e Marnie lo troviamo: il colore degli occhi, anche se viene evidenziato solo in determinati momenti, quasi a voler spostare quel gioco di luci dall’acquitrino alle iridi delle due giovani.

Pic nic al chiaro di luna

La colonna sonora di Quando c’era Marnie è stata pubblicata in un album composto di due CD contenenti rispettivamente il primo 6 brani musicali, riguardanti le personalità dei vari personaggi, e il secondo altri 28 che vanno a comporre invece il tema principale: Fine on the Outside, della cantante folk statunitense Priscilla Ahn. Scritta da Takatsugu Muramatsu la musica di questo lungometraggio animato è stata diffusa, fra vendita dei CD e download da iTunes Store, in ben 113 Stati.

Anna con la piccola e curiosa Sayaka

Volendo fare una sintesi di cosa sia Quando c’era Marnie possiamo così riassumere… lungometraggio animato per giovani adolescenti e adulti, la trama di questo film si dipana su due binari paralleli: l’indagine sulla figura evanescente di Marnie e l’inizio della maturazione della giovane Anna a partire dalla scoperta di chi sia veramente lei. Il primo dei due sembra non essere essenziale in quanto inizialmente tutto pare ridursi ad una sorta di amica immaginaria chiamata in causa per sopperire ad un bisogno inascoltato di relazione, salvo poi evolvere in tutt’altra direzione. Il secondo invece si sofferma molto sulla figura di Anna e le difficoltà che ha incontrato e sta incontrando nella sua crescita personale. Lei stessa ammette più di uno dei suoi limiti in merito alla capacità di saper stare in mezzo alle persone e in ambienti chiassosi. Piccola, ma già grande adolescente, può permettere a molti di rispecchiarsi in lei, ricordando le difficoltà di quel periodo della propria vita. La scontrosità inoltre è un carattere che molti genitori definirebbero tipica del periodo adolescenziale e spesso fa da velo a tutta una serie di pensieri e rimuginii che vorticano nelle giovani menti in formazione.

Difficilmente proponibile a dei bambini in tenera età può tuttavia essere molto apprezzato da chi è abituato alla lettura e soprattutto a quella di un certo genere, riflessivo e introspettivo.

Emozionante a fasi alterne, fa del lento scorrere degli eventi il suo punto di forza, fino ad arrivare al colpo di scena finale.

Voto 7+

I Simpson – Il film

SPUNTO n° 98

Quando il 15 febbraio 1954 a Portland il piccolo Matt venne al mondo è probabile che non fosse nei pensieri dei suoi genitori, Homer Philip e Margaret Ruth, la possibilità di ritrovarsi con un figlio autore di una delle serie animate più conosciute e amate del mondo occidentale.
Il piccolo Matt crebbe e, nonostante i suoi studi portassero in tutt’altra direzione, si ritrovò, nel 1987, a dar vita al cartone animato satirico de I Simpson. Il giovane, avrete ormai capito, è Matt Groening.

Matt Groening e la sua versione Simpsonizzata

Ad oggi la serie conta 32 stagioni e col tempo sia il disegno che le caratteristiche e le avventure dei personaggi si sono fatte più articolate. La maggior parte dei nomi dei protagonisti al centro della scena sono stati ripresi dai nomi dei familiari dello stesso autore; Lisa e Maggie, sono le due sorelle minori di Matt; Homer e Marge sono invece i nomi dei suoi genitori.
Diventata fin da subito una delle punte di diamante dell’allora 20th Century Fox, diventata da circa un anno 20th Century Studios, la serie vanta numerosi premi televisivi e un successo che ha portato i suoi produttori a dar vita al progetto di un lungometraggio animato realizzato con gli amati e gialli personaggi. Arriviamo così al 25 luglio 2007, quando sugli schermi dei cinema francesi e britannici, fa la sua comparsa The Simpson Movie (I Simpson – Il film). In Italia il film arrivò pochi mesi dopo, precisamente il 14 settembre dello stesso anno.

Una famosa scena del film nella quale Bart si ritrova spiaccicato, nudo, sulla vetrina di un ristorante

In generale il film fu un successo. Al botteghino le entrate superarono il mezzo miliardo di dollari, a fronte di una spesa molto minore, mentre sui siti di recensione, ad esempio su Rotten Tomatoes, ha comunque riportato percentuali di gradimento decisamente buone.
Diretto da David Silverman è stato prodotto dalla Gracie Films per la 20th Century Fox.

La vita scorre nella solita tranquillità nella cittadina di Springfield (nome scelto poichè esistono diverse cittadine con quel nome negli USA, circa 70) e il bizzarro equilibrio che tanti strani e peculiari personaggi riescono a mantenere viene turbato, in questo caso, dalla notizia che le acque del lago cittadino sono gravemente inquinate, tanto da spingere l’intera comunità a organizzarsi per tentare di ripulire il lago ed evitare che venga ulteriormente contaminato da rifiuti di vario genere. Il livello di sporcizia nelle sue acque infatti è tale da rasentare un letale livello di tossicità.
Purtroppo in quei giorni Homer ha ben pensato di allargare la famiglia adottando uno sfortunato maialino che lui stesso, sembra incredibile, ha salvato dal macello. Le intenzioni come sempre sono delle migliori ma la “carne” di Homer è molto debole e quando si trova a scegliere fra un ammasso di ciambelle gratuite e un corretto smaltimento dei rifiuti organici prodotti dall’amico suino non dimostra alcun dubbio su come spendere il suo tempo e scarica nel lago quella che sarà la goccia di melma che fa traboccare il vaso.
La catastrofe è fatta. Il lago diventa tossico, il governo degli Stati Uniti (con un non più tanto improbabile Arnlod Schwarzenegger come presidente) interviene e Springfield viene isolata sotto una gigantesca cupola trasparente e indistruttibile, evento che darà il via all’ennesima avventura della più sgangherata famiglia d’America…

Dal punto di vista dell’animazione I Simpson non hanno nulla in più da dimostrare. Disegni semplici e piuttosto schematici ne caratterizzano ormai da anni personaggi e ambienti (Homer, per esempio, può esser disegnato usando come base semplicemente delle sfere) e nonostante ciò la trama non perde colpi grazie alla cura dei dettagli che vengono evidenziati al momento giusto per far seguire lo svolgersi degli eventi anche al più disattento spettatore.

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Hans Zimmer con l’Oscar vinto per la colonna sonora de Il Re leone

La colonna sonora invece riesce a risaltare, soprattutto grazie al grande e intramontabile nome di Hans Zimmer già noto per molte altre sue famose opere (fin dagli anni ‘80 infatti troviamo il suo nome associato a capolavori del grande schermo per arrivare quasi a un monopolio dopo il successo con titoli come Il gladiatore e la serie di film thriller nata dai libri di da Dan Brown) ed è attualmente a capo del dipartimento musicale della Dreamworks.
Pubblicati il 24 luglio 2007 in un album in edizione limitata dalla Adrenaline Music, i brani che aprono, accompagnano e chiudono il film (fatta eccezione per la sigla cantata nei primi minuti dalle versioni animate dei Green Day) sono 16, fra i quali anche Spider Pig (in italiano Spider Pork) parodia di Spider Man Theme Song.

Quando i Green Day suonarono la sigla nel film dei Simpson. Guarda il video  e la gallery con le immagini più belle - Foto 1 di 10
I Green Day ne I Simpson che citano il Titanic.

A livello di contenuti il film non spara certo alto, anche perché non è quello l’obbiettivo. Target del film è infatti un pubblico giovanile, ma già grande, e adulto e quello a cui si punta è la risata. Satirici, irriverenti nei confronti di tutto e tutti, i Simpson mostrano di saper vivere avventure e disavventure uscendone sempre “aggiustati”. Che al centro del film, o dell’episodio, vi sia il tema del rapporto fra Homer e Marge, oppure la famiglia, o la relazione genitore – figlio o tanti altri spunti ancora (non finiremmo mai ad elencarli tutti) il tutto deve far sì riflettere sull’argomento di turno scelto, ma sempre, sempre con una sonora risata causata dai simpatici e gialli personaggi.
Buona la trama, anche se alla fine non si risolve il problema dell’inquinamento del lago, e buone le tempistiche con cui scorrono gli eventi. Tuttavia il film si rivela un prodotto decisamente gradevole ma né eccelso né, come già accennato, adatto a tutti.

Tom Hanks in versione Simpson

Voto 6 e mezzo

Note:
numerosi i camei che possiamo notare durante il film, come accade del resto anche durante gli episodi: citazione dell’affondamento del Titanic nell’omonimo film; Spider Pork che diventa la versione suina di Harry Potter (oltre che ovviamente la versione suina di Spider Man); la comparsa di celebrità come Schwarzenegger e Tom Hanks.

Atlantis – L’impero perduto

SPUNTO n° 97

Quando c’è da accendere la fantasia di uno spettatore cosa c’è di meglio di un vecchio mito rispolverato?
La Disney, che già aveva dimostrato di attingere a piene mani dalle favole della tradizione scritta e orale dei popoli occidentali (e non solo), si è cimentata anche nella produzione di opere cinematografiche che si rifacessero, anziché a fiabe e racconti, a personaggi ed episodi del mondo mitologico.
Se già nel 1963, con La spada nella roccia, erano state raccontate la crescita e la formazione del giovane virgulto che sarebbe in seguito diventato Re Artù (personaggio tanto vero quanto leggendario) negli anni ‘90 e nei primi anni 2000 anche altri miti vengono recuperati per essere narrati in versioni rivisitate o, nel caso di “Atlantis – L’impero perduto”, per fare da contesto ad un’avventura.
41° classico Disney, Atlantis – L’impero perduto rivede all’opera in regia il tandem a firma Gary Trousdale e Kirk Wise i quali, dopo i successi de La bella e la bestia e Il gobbo di Notre Dame, si cimentano con questo nuovo progetto.

La nascita del mito

Sebbene si tratti di un film il cui ricordo ancora rimane saldo in molti giovani degli anni ‘90 la sua uscita, negli USA a giugno 2001 mentre in Italia a dicembre dello stesso anno, non fu particolarmente premiata al botteghino. La casa di produzione cinematografica statunitense riuscì sì a recuperare senza problemi i costi e a realizzare il suo buon guadagno ma al confronto con molti altri lungometraggi d’animazione della Disney Atlantis non appare come un successo.
Anche la critica non si è mai sbilanciata molto a favore mantenendo giudizi che su vari siti di recensioni, come Rotten Tomatoes, non hanno mai raggiunto una valutazione particolarmente elevata.

nel corso di un giorno e di una notte, tutto il complesso dei vostri guerrieri di colpo sprofondò sotto terra, e l’Isola di Atlantide, allo stesso modo sommersa dal mare, scomparve”

Milo nel suo “ufficio”

La storia comincia con una citazione di Platone presa dal Timeo, uno dei suoi dialoghi. Immediatamente dopo assistiamo a un cataclisma che pare essere scatenato da un incidente tecnologico o, come sapremo più avanti, dall’invidia degli Dèi. Alcuni fuggitivi riescono ad arrivare ad Atlantide la quale viene rapidamente raggiunta e sommersa da un gigantesco tsunami che la distrugge completamente salvo che una piccola parte messa al sicuro da un curioso meccanismo di difesa.
La scena si sposta a Washington migliaia di anni più avanti nel tempo dove Milo Thatch sta provando il suo discorso da esporre ai luminari dello Smithsonian. Il giovane studioso, pur vantando una vasta cultura in vari ambiti, non riesce a far apprezzare i propri sforzi alla comunità accademica e deve mantenersi lavorando come tuttofare e caldaista al museo.
Una sera, dopo l’ennesima delusione, rientrando a casa vi trova una donna misteriosa che lo condurrà presso la dimora di un ricco, e strambo, nobiluomo, già amico di suo nonno Thadeus: Preston B. Whitmore.
L’anziano ma arzillo vecchietto gli consegnerà un plico che teneva da parte da tempo per conto del nonno di Milo, contenente nientemeno che il Diario del vecchio pastore, un testo in grado di provare la veridicità delle ricerche di Milo e di condurlo ad Atlantide.
Il signor Whitmore, organizzatissimo, spiega di aver già preparato una spedizione per ritrovare la mitologica città perduta ma alla squadra manca ancora la figura più importante: un esperto in geroglifici e lingue morte… Milo.
Pochi attimi di riflessione e l’avventura comincia, imbarcando tecnici e spettatori su uno strano sottomarino che ricorda moltissimo il Nautilus descritto da Jules Verne in 20.000 leghe sotto i mari

L’imponente salone di casa Whitmore

Purtroppo la Disney ci ha abituati da sempre ad un’animazione di alto livello ed è impossibile non rendersi conto che questo progetto, nonostante sia realizzato con tecniche tradizionali, non sia all’altezza di molti altri film della multinazionale di Burbank. Il tratto dei disegni appare molto accurato su alcuni dettagli del volto dei personaggi ma allo stesso tempo si dimostra piuttosto stilizzato e spigoloso, tanto da far apparire alcuni tratti fisici di Milo e compagni quasi grotteschi (orecchie e dita sembrano prese da un quadro cubista).
Spettacolari invece i paesaggi e gli scenari nei quali si svolge tutta la vicenda, anche grazie ai non pochi spunti che rimandano, come già accennato, al mondo del Capitano Nemo.

Milo a colloquio con Preston B. Whitmore. Al centro il modellino del mezzo subacqueo approntato per la spedizione.

L’insieme dei brani musicali, circa 30, che fanno da sottofondo al film è stato realizzato da James Newton Howard, compositore affermato nelle colonne sonore di ogni genere di film, che ha più volte sfiorato la vittoria agli Oscar e ai Golden Globe. Fra i suoi lavori più recenti, e più noti al grande pubblico, troviamo anche la serie di film Hunger Games e Animali fantastici.
I titoli di coda invece scorrono sulle note di Where the dream takes you, brano scritto da Diane Warren e James Newton Howard ma interpretato da Mýa Marie Harrison, già nota per aver cantato in Moulin Rouge la famosa canzone Lady Marmalade (insieme ad altre voci dello spettacolo come Christina Aguilera, Pink, Lil’ Kim). La versione italiana della canzone è stata re-intitolata Segui i sogni ed è interpretata dall’allora giovane cantante dei Gazosa, Jessica Morlacchi.

Milo e Kida alla ricerca del passato.

Rimanendo sul sentiero tracciato da Jules Verne la trama del film non mostra mai di voler approfondire un discorso che vada oltre il senso della scoperta. Molto simpatici i personaggi e la loro caratterizzazione, si apprezza lo stare in loro compagnia e non si arriva mai a provare disinteresse o noia se si ama il genere avventuroso del racconto.
Atlantis diverte e avvince ma nell’insieme non pretende di sollevarsi sopra la massa. Molto adatto ad un giovane pubblico ma mediocre per poter anche solo aspirare a qualcosa di più.

Voto 6 e mezzo

Note:
molti piccoli cammei riguardano i doppiatori sia in lingua originale che in italiano: in inglese a doppiare Milo è Michael J. Fox mentre il vecchio Re di Atlantide ha la voce nientedimeno che di Leonard Nimoy; nella nostra lingua invece possiamo riconoscere la voce di Gianni Musy che di lì a breve sarebbe stata amata da moltissimi appassionati del mondo fantasy in quanto è stato anche doppiatore di famosi personaggi quali Gandalf (nella sola trilogia de Il Signore degli anelli) e Albus Silente. Il simpatico e rivoltante Molière infine deve la sua buffa voce a Claudio Bisio, che ricorderete, oltre che per la sua carriera nello spettacolo, come voce di Sid, bradipo de L’era glaciale.
La lingua di Atlantide è stata creata dalla stessa mente che ha inventato la lingua Klingon della serie Star Trek: Marc Okrand.

Soul

SPUNTO n° 96

Temevo che potesse succedere ed è successo. Per passare dallo SPUNTO n° 95 allo SPUNTO n° 96 mi ci sono voluti più di 5 mesi… un piccolo blocco… ma pare inutile cercare di capire quali stop ‘n go influenzino la nostra vita no? No!

Ci voleva forse proprio il ventitreesimo prodotto della Pixar Animation Studios per farmi ritrovare la scintilla alla base di questo piccolo e personale progetto. Ormai i miei 11 lettori (eh si, sono lontano anche dalle più basse modeste aspettative di Manzoni) avranno capito che parlo di “Soul” film d’animazione distribuito dalla Walt Disney Pictures e diretto da Pete Docter, già all’opera in Monster & Co, Up e Inside out.
La sua uscita nei cinema, prevista, a seconda del Paese, dal giugno di questo funesto 2020 a settembre, è stata rimandata fino a giungere a questo Natale. Il 25 Dicembre Soul fa quindi il suo debutto sui piccoli schermi di tanti e sparpagliati abbonati al portale di Disney+.

Joe insegnante appassionato

Se al momento è arduo capire quanto successo questo nuovo lungometraggio riuscirà ad ottenere al “botteghino” possiamo intanto basarci su alcuni dati che tracciano una vaga idea dello sforzo che è stato compiuto alle spalle del grande schermo: dai primordi dell’idea partorita da Pete Docter insieme a Mike Jones nel quasi lontano 2016, passando poi per la nomina a direttore creativo della Pixar di Docter nel giugno 2018, si arriva quasi al 2021 per assistere alla nascita di un pargolo costato circa 150 milioni di dollari di spese di produzione. Per farsi un’idea migliore proviamo a pensare che il primo Toy Story (1994) costò circa un quinto di questa cifra mentre Gli incredibili 2 (2018) la supera di circa il 30%.
Dire che la critica finora si sia espressa favorevolmente sarebbe minimizzare dato che molti grandi penne del mondo giornalistico del genere hanno usato toni entusiastici per descrivere le proprie impressioni.

Joe nella bolla in un momento di estasi musicale

Andando più al succo…
La vicenda comincia e si sviluppa fra la grande metropoli di New York e un mondo dell’aldilà di nuova concezione formato da Ante mondo e Altro mondo. Joe Gardner, insegnante di musica delle scuole medie, vive la sua vita giorno per giorno nell’eterna speranzosa attesa del momento nel quale riuscirà ad elevarsi da un’esistenza fatta di monotonia e delusioni. I primi minuti di film mostrano più che bene quale sia la sua realtà lavorativa e in generale tutto il suo contesto quotidiano. Fra le prediche dell’anziana mamma e un futuro come insegnate tanto certo quanto indesiderato, la sua mente continua a rincorrere il sogno di sfondare come musicista jazz.
Un giorno il miracolo pare avverarsi ma solo poche manciate di secondi separano Joe dal momento nel quale si scoprirà precipitare dalle stelle di un quasi afferrato successo alle stalle di una morte prematura. Scioccato, inebetito, devastato da questa notizia, Joe cerca in tutti i modi una soluzione che gli permetta di coronare i suoi sogni terrestri, ma molti intoppi si frappongono fra lui e il ritorno alla vita. A fargli compagnia, e molto di più, ci sarà 22, anima non nata, sfiduciata nel poter trovare un qualche interesse a vivere la propria vita…

Joe, un Jerry e alcune anime non ancora nate

Indubbiamente la Pixar ha fatto della qualità dell’animazione digitale (CGI) un suo punto di forza e ogni volta cerca, e spesso trova, nuovi modi per mostrare come abbia saputo alzare nuovamente l’asticella. Non essendo certamente un esperto ho preferito chiedere un parere ad un amico designer che non ha avuto difficoltà a spendersi nell’elogiare il lavoro dei tecnici dello studio d’animazione californiano:

“Pochi cartoni animati mi hanno colpito per la tecnica usata ma Soul è un capolavoro. Dalla tecnica artistica al significato e al messaggio”
Andrea Senatori

La colonna sonora ci rimbalza fra pezzi jazz, composte da Jon Batiste, musicista americano, che accompagnano bene sequenze e stati d’animo di Joe Gardner e altri brani più moderni, realizzati invece da Trent Reznor insieme ad Atticus Ross, che fanno da sottofondo a tutte le scene ambientate nell’aldilà. I titoli di coda invece vengono presentati accompagnati da una nuova versione di It’s all right rielaborata sempre da Jon Batiste.

Riguardo ai contenuti e al significato si è già visto scrivere molto e forse anche troppo. Soul per molti è stato al centro di un dibattito sul fatto che fosse diretto ad un pubblico di età adulta. Se per l’Avvenire il film rappresenta un “Esempio di un cinema davvero adulto”, con un’accezione certamente positiva, così non è per ilPost che si sofferma invece a riflettere se sia gradevole anche per il pubblico infantile, o comunque più giovane. L’Espresso esordisce con “soul, convince ma solo a metà” mentre addirittura Agi e Fanpage esprimono seri dubbi sul film: il primo sul fatto che sia diretto agli adulti, evidenziando tale caratteristica come un problema; il secondo definendolo “un Inside Out che non ce l’ha fatta”.

La venuta al mondo di 22

Personalmente ho trovato il film molto scorrevole e in grado di divertire tutti, dai più piccoli fino a noi grandiglioni. Ma al di là della gradevolezza occorre spendere qualche parola in più perché i temi toccati sono davvero forti e probabilmente non in grado di sfiorare le corde emotive di chi ancora non vi ha inciampato.
La morte, la difficoltà di vivere ogni giornata come dono prezioso e denso di significato sono argomenti ostici se si guarda ancora il mondo con gli occhi stupiti di 22, ma è molto più facile seguire il film con la visione di Joe, adulto che teme di rimanere in attesa dell’occasione della svolta. Eppure quando arriva quel momento, addirittura definito una rarità da un personaggio del film, Joe si scopre ancora invischiato in una routine, seppur diversa, facendo trasparire dal suo viso un mix di delusione e scialba sorpresa che rimandano molto al momento di un altro celebre film d’animazione nel quale gli amici di acquario di Nemo (ovviamente si parla di Alla ricerca di Nemo) si ritrovano liberi nel mare ma intrappolati dal loro stesso mezzo di fuga… e adesso?
Adesso la vita di Joe può ri-cominciare, permettendo ai sogni di filtrare nella realtà e trasformare in gemma ogni singolo istante vissuto.

Soul quindi ha sicuramente un grosso segno più sulla propria pagella il che mi mette nella condizione di manifestare il mio disaccordo con sicurezze ostentanti il film d’animazione come “per bambini” e Inside out come superiore.
Ad una prima visione il concetto di scintilla, la scintilla che dà avvio alla vita di un’anima sulla Terra, appare leggermente semplicistico ma ad un secondo sguardo possiamo accorgerci che tale mistero dipende da un errore di Joe che, nelle falsi vesti di mentore mentre segue la lezione di uno dei tanti Jerry, si distrae pensando alla propria resurrezione lasciandoci all’oscuro di cosa sia la scintilla che completa un’anima. Ben fatto!

A doppiare Joe è Neri Marcorè, mentre la piccola 22 ha la voce di Paola Cortellesi

Quindi sì, Soul è un film d’animazione per grandi adatto anche ai bambini e aggiungerei, da eterno bambino, finalmente! Un lungometraggio animato per grandi che mantiene alcuni dei canoni dell’animazione per l’infanzia in un importante passo per il futuro del cinema d’animazione.

Forse è bene porsi la domanda che viene rivolta a Joe:
“Come passerà il resto della vita?” ed è altrettanto bene sapere quanto essa sia preziosa per tentare di rispondere ogni volta “Non lo so… Ma so che ne assaporerò ogni momento”.

Voto 8 e mezzo

Note: avrebbe dato un senso di completezza al mio animo, in parte pignolo, l’assistere alla nascita della piccola 22 in forma umana… ma il finale è bello anche così;
Soul commette un piccolo inciampo… una minuzia: l’anima del gatto in teoria muore nel momento in cui Joe entra nel suo corpo (e infatti vediamo l’anima del felino sulle rampe mobili luminose) ma alla fine l’animale si rivela più vivo che mai.

Big Hero 6

SPUNTO n° 95
Il fumetto

In un’altra occasione, precisamente allo SPUNTO n° 86, abbiamo velocemente accennato al lungometraggio d’animazione di marca DisneyBig Hero 6”. Il confronto con Next Gen, film distribuito invece da Netflix nel 2018, vede Big Hero vincitore a mani basse. Ma non corriamo, prendiamoci un paio di minuti per capire da dove ha avuto tutto orgine.
Big Hero 6 infatti nasce come un fumetto pubblicato dalla famosissima Marvel Comics, e creato da Steven T. Seagle e Duncan Rouleau, nel quale i protagonisti sono una squadra di supereroi voluta e creata secondo un progetto del governo giapponese. Esistono due serie di fumetti che ruotano attorno ai personaggi che compongono il gruppo dei Big Hero 6: Sunfire & Big Hero 6 (1998) e Big Hero 6 (2008).
Nel 2014, in seguito all’acquisizione della Marvel da parte della Disney,esce nei cinema il film liberamente ispirato alle vicende delle serie a fumetti e, come spesso capita nei riadattamenti cinematografici, con trama e personaggi che subiscono minori o maggior variazioni rispetto alla storia originale. La regia venne affidata al duo Chris Williams, che conosceremo in futuro anche per la direzione del film Oceania,e Don Hall, al suo secondo lavoro come regista dopo Winnie the Pooh – Nuove avventure nel Bosco dei 100 Acri.
Annoverato come 54° classico Disney, Big Hero 6 è il primo film basato su un franchise Marvel ad esser prodotto dalla storica casa di produzione statunitense alla quale nel 2015 fece vincere l’ennesima statuetta dorata nella categoria come miglior film d’animazione.

Big Hero 6 Hiro's MicroBots GIF | Gfycat
La presentazione di Hiro alla fiera delle scienze

Tutta la storia è ambientata nella grande città di San Fransokio, palese tentativo di coinvolgere sia il mondo occidentale che quello orientale, una metropoli che mischia tratti culturali di varie parti del mondo (vi potete trovare i ponti all’americana e i famosi autobus di San Francisco che però presentano decorazioni e stili propri del Giappone).
Hiro è un giovane genio di 14 anni con un talento per tutto ciò che è tecnologico e, come molti della sue età, vive un momento di confusione e sbandamento che lo porta ripetutamente a mettere a rischio la propria vita, e quella di suo fratello Tadashi, partecipando a bot-duelli illegali.
Una sera, dopo l’ennesimo duello, Tadashi porta Hiro con sé al San Fransokyo Institute of Technology, dove lavora, e lo convince a partecipare alla fiera annuale che l’Instituto organizza per trovare nuove idee e nuove menti da annettere nel proprio organico.
Con l’aiuto di Tadashi il nostro giovane protagonista riesce a mettere a punto un progetto con dei potenziali incredibili e viene ammesso ai corsi. Purtroppo la sera stessa tutto il mondo di Hiro crolla nel giro di pochi minuti e comincia tutto un altro racconto…

Hiro e zia Cass

Tecnicamente il livello del film è altissimo. Scene con primi piani, videochiamate, momenti di azione adrenalinici, inseguimenti e… Baymax, il gigantesco robottone morbidoso che diventa il
migliore amico di Hiro e che attira ogni simpatia del pubblico.
L’animazione è ovviamente realizzata in CGI e la sua alta qualità fa entrare senz’altro Big Hero 6 nella ristretta cerchia fra i migliori film d’animazione computerizzata di sempre.

Miguel Sotomayor – Pagelle Calcetto – Pagina 2

La colonna sonora, composta da circa una ventina di brani musicali, è stata quasi interamente realizzata da Henry Jackman, che dal 2009 collabora costantemente con molte case di produzione cinematografiche, e consta per lo più in brani solo musicali che seguono i momenti che offrono maggior coinvolgimento emotivo, siano essi di azione, sentimentali o riflessivi. Unico brano non realizzato dal compositore inglese è Immortals dei Fall out boy che viene proposto durante l’addestramento dei novelli supereroi e durante i titoli di coda (in italiano la canzone è stata interpretata dallo stesso cantante della band: Patrick Stump). Altra nota musicale è il singolo Supereroi in San Fransokio del rapper Moreno che segue a Immortals nei titoli di coda.

I Big Hero 6

Se il pacchetto tecnico con il quale il film si presenta è ottimo e lo sfondo musicale senz’altro degno di menzione non da meno sono i contenuti e le tematiche.
Ilm film è di fatto un thriller fantascientifico d’animazione con una trama abbastanza elaborata ma il suo forte sono i vari sbalzi emotivi che ogni spettatore vive insieme al protagonista.
Allo sbando giovanile dei primi minuti si succedono, in ordine cronologico, momenti di entusiasmo, delusione, trionfo, lutto, sconforto, rabbia e desiderio di vendetta con il cameo dell’amicizia che si sviluppa nel gruppetto composto dagli amici del fratello maggiore di Hiro, da Hiro stesso e da Baymax, l’operatore sanitario robot inventato proprio da Tadashi.
È raro che un film d’animazione sappia far suonare con tanta potenza alcune corde dell’animo umano che in genere quasi subiscono la censura nei cartoni animati.
Tutta l’avventura di Hiro è una piccola parentesi della vita di molti, sconvolta e scossa da eventi che sfuggono ad ogni possibile controllo dell’uomo e di fronte ai quali chiunque rischierebbe di voler chiudere la porta al mondo.

Le 10 cose di Big Hero 6 che ancora non sapevate
Virginia Raffaele e Flavio Insinna

Adatto a tutti ma mirato ad un pubblico giovanile già grande, merita anche il tempo degli adulti, soprattutto se a guardarlo è un figlio o una figlia di età ancora tenera che può aver bisogno della mediazione del genitore per alcuni momenti drammatici.

Big Hero 6 fa arrabbiare ma rafforza la speranza
Voto 8

Stan Lee padre di famiglia

Note: in italiano la voce a zia Cass è prestata da Virginia Raffaele mentre a doppiare Baymax è Flavio Insinna;
in uno dei quadri della casa di Fred, e nel finale a sorpresa dopo i titoli di coda, compare niente meno che la versione animata di Stan Lee, padre di molti supereroi della Marvel.

Mamma, ho scoperto gli gnomi

SPUNTO n° 94

Negli anni ‘90 il cinema per ragazzi fu letteralmente invaso da film semi comici nei quali ragazzini normalissimi si ritrovavano improvvisamente in situazioni improbabili e tutt’altro che da ridere se riportate in un contesto più realistico. Moltissimi della mia generazione ricorderanno Mamma ho perso l’aereo e il suo quasi identico seguito, usciti rispettivamente nel 1990 e nel 1992. Il titolo originale del primo di questi due film era Home alone (A casa da solo). Pochi anni fa, nel 2017, nei cinema di pochissimi Paesi uscì “Mamma ho scoperto gli gnomi” (Gnome alone in lingua originale) con palese tentativo di richiamare il pubblico, più o meno giovane, dei film sopra citati.
Nel 2018 la società di distribuzione via Internet di serie tv e film Netflix ha rilanciato questo lungometraggio animato sulle proprie piattaforme di streaming, estendendone così la diffusione a livello globale.

Una scena del trasloco

Diretto da Peter Lepeniotis, già autore del divertente ma non fenomenale Nutjob – operazione noccioline (SPUNTO n° 82), e prodotto da 3QU Media, Cinesite Animation, Vanguard Animation, il film si presta alla visione di un pubblico ancora piuttosto giovane, magari di qualche anno inferiore all’età dell’adolescente Chloe, protagonista della vicenda.

La storia comincia con l’arrivo a Tenderville (la stessa immaginaria cittadina nella quale è ambientato il corto Surly squirrel, SPUNTO n° 81) di Chloe e sua madre, appena trasferita per motivi di lavoro. In un colloquio telefonico fra la madre e sua sorella, la zia di Chloe, scopriamo che questo copione si ripete continuamente e che le due sono oramai delle esperte di traslochi flash.
La nuova casa si presenta fin da subito come qualcosa di lugubre e misterioso e non passano neanche 5 minuti di film che Chloe si imbatte in un bizzarro ambiente chiuso che appare come qualcosa a metà fra un bunker e un laboratorio.
Dopo un incontro con delle strane statue raffiguranti degli gnomi, Chloe fa conoscenza del simpatico ma poco popolare Liam dal cui interesse cerca di fuggire da subito.
Il giorno dopo, durante il primo giorno di scuola, iniziamo a vedere in quale piccolo pezzo di mondo sia capitata Chloe: emarginati come Liam, reginette della moda senza la giusta misura di sé, ragazzi carini ma con la personalità di un comodino compongono la fauna dell’ambiente scolastico. Decisa a farsi nuovi amici Chloe cerca fin da subito un gruppo nel quale inserirsi e riesce ad avviare un qualche, acerbo, contatto con alcune coetanee.
Tornata a casa si imbatte in uno strano essere violaceo a forma di palla, ben animata versione ma poco efficace di Mike Wazowski, simpatico personaggio di Monsters & Co.
Il bizzarro coso viola sarà solo il primo degli incontri ravvicinati del terzo tipo che la ragazzina si troverà a vivere…

Carini e coccolosi ragazzi

Graficamente il film esprime il suo meglio sebbene inciampi in uno dei paradossi più comuni fra le produzioni di film d’animazione: eccezionale e maniacale definizione di alcuni dettagli come, ad esempio, l’iride degli occhi dei personaggi, che stona enormemente con altri parti fisiche dei personaggi o degli ambienti la cui cura appare decisamente tirata via.
Molto gradevole e peculiare risulta invece la scelta dei colori che riesce a rendere tanti momenti del film quasi realistici e a rendere lo spettatore un osservatore ravvicinato degli eventi.

Le BTC

Anche la colonna sonora non brilla particolarmente. Brani principalmente inediti ne compongono lo scheletro puntando su frizzantezza ed energia che sanno molto di moderno e popolare fra le giovani generazioni ma che non raggiunge l’obbiettivo di colpire l’orecchio o il cuore di chi li ascolta.
A chiudere ed aprire il film è il brano Home is where the heart is, interpretato da Becky G., del quale ancora troviamo a stento traccia sulla piattaforma di youtube. La giovane cantante e attrice messicana è anche la voce di Our house, traccia dei momenti di azione del film. That’s not my name è invece un brano preesistente dei The Ting Tings mentre Fit in è interpretato dalla cantautrice americana Sarah Quintana. I titoli di coda li accompagnano le parole di Found my way, metafora del balzo di crescita compiuto dalla protagonista.

Il simpatico ma non carismatico Liam

Film adolescenziale senza lode né infamia Mamma ho scoperto gli gnomi affronta le tematiche della sicurezza di sé, del tracciare la propria via senza dare troppa importanza ai pensieri altrui e alle malelingue e del compiere le scelte giuste, appartenenti al mondo reale (anche se si parla di gnomi e di passaggi dimensionali) ma il tutto viene affrontato secondo cliché narrativi che riguardano un cattivo inaspettato, un amico fedele e bistrattato, un ballo della scuola con un belloccio non pensante e una mamma troppo presa dal lavoro per accorgersi di qualcosa, per non parlare del padre la cui sorte è un mistero.

Emozioni scarsine, si resta a bocca chiusa per il poco stupore
Voto 5 e mezzo

Trolls

SPUNTO n° 93
Inquietanti nanerottoli

Quando ero piccolo nei negozi di giocattoli giravano alcune bambole, alquanto inquietanti, raffiguranti dei troll. Non i troll grandi, tonti e caccolosi di Harry Potter e dell’universo della scrittrice J.K.Rowling, ma dei troll piccoli, sorridenti e dalle chiome multicolori che si ispiravano alle statuette da giardino, o comunque decorative, a loro volta nate dalla tradizione popolare di racconti scandinavi. (Nel 1959 nella città di Gjøl, Danimarca, il taglialegna Thomas Dam, non avendo i soldi per comprare un regalo di Natale alla figlia, ideò e intagliò queste bamboline. Fonte: Comingsoon).
I prodotti e le idee, come la storia, vivono corsi e ricorsi che li riportano periodicamente a esser riproposti sul mercato, magari con qualche adattamento e ammodernamento. Così nel 2016 la Dreamworks Animation si rigioca la carta di questi piccoli esserini simpatici fornendo loro un palcoscenico nuovo: il grande schermo.
Diretto da Mike Mitchell e Walt Dohrn, il lungometraggio d’animazione “Trolls” arriva in Italia il 27 ottobre 2016 distribuito dal colosso cinematografico 20th Century Fox.

Un fotogramma del racconto iniziale di Poppy

La storia comincia con un prologo narrato dalla voce fuori campo della principessa Poppy che racconta l’incontro fra i piccoli e canterini Troll con i grossi e non proprio avvenenti Bergen. Questi ultimi, al contrario dei primi, sono musoni e di umore sempre nero ma inaspettatamente trovano un modo per provare anche loro la felicità: mangiare un troll. Il racconto di Poppy continua descrivendo l’istituzione di una nuova festa dei Bergen, il Trollstizio (giorno dell’anno nel quale ogni Bergen può sentirsi felice divorando il proprio troll) e la conseguente fuga dei troll dalla loro prigionia grazie al coraggio di Re Peppy, loro guida.
Andiamo avanti di 20 anni e scopriamo che i Troll vivono in armonia senza più il timore dei Bergen. In mezzo alla foresta una nuova città è stata fondata e adesso prospera, animata dai canti, dalle danze e dalla vivacità dei suoi abitanti. La principessa Poppy, che durante la famosa fuga era una piccola frugoletta, adesso è ormai più che ventenne e sta organizzando un’enorme festa per il ventesimo anniversario della loro liberazione. Un solo troll, nel Regno, teme ancora la venuta dei Bergen. Si tratta di Branch, troll atipicamente scontroso e burbero, ma molto previdente.
La sera della festa le luci e le esplosioni dei festeggiamenti richiamano l’attenzione di una Bergen esiliata che irrompe nella vivace cittadina catturando alcuni dei suoi abitanti e dirigendosi in seguito verso Bergentown per farsi riammettere nella propria comunità.
Sarà la principessa Poppy, insieme a Branch, a partire in una rischiosa e quasi impossibile missione di liberazione…

Gristle Jr., sovrano dei Bergen

Il punto di forza dell’intero film è la colonna sonora, ben sviluppata e messa in risalto grazie alle canterine caratteristiche dei Troll. Parte essenziale della cultura troll sembrano infatti essere la musica e le canzoni pop, magistralmente interpretate da ogni membro della comunità.
Justin Timberlake, Gwen Stefani, Anna Kendrick, Zooey Deschanel, Ariana Grande, sono i nomi dei cantanti originali che interpretano le canzoni del film, mentre nella versione italiano possiamo riconoscere la stupenda voce di Elisa, anche doppiatrice dei dialoghi per il personaggio della principessa Poppy, e quella di Alessio Bernabei (frontman dei Dear Jack).
Riconoscibili, fra i vari brani: Semptember, del gruppo musicale Earth, wind & fire; True colors, di Cyndi Lauper; The sound of silence, del famoso duo Simon & Garfunkel; Can’t stop the feeling, del già citato Justin Timberlake; Total eclipse of the heart , di Bonnie Tyler, viene appena accennata ma è impossibile non riconoscerla.
Molto orecchiabile invece suona la canzone realizzata per il film Get back up again (In piedi tornerò in italiano) di Anna Kendrik e reinterpretata nella nostra lingua da Elisa.

The sound of silence

Il reparto tecnico dell’animazione (CGI) mostra invece di essersi impegnato in maniera selettiva. Se infatti troll e bergen risultano piuttosto ben realizzati nei dettagli, nelle caratteristiche e nei movimenti (ad esempio vi propongo il momento nel quale Brigida conclude la canzone Eclissi del cuore. Se guardate bene notate che i capelli di Poppy ondeggiano mossi dal flusso d’aria emesso dalla piccola bergen mentre canta). Di tutt’altro livello sembrano invece ambienti e personaggi che non hanno un ruolo rilevante nella storia: grotte, alberi, piante, mostriciattoli vari sembrano veramente solo pupazzi e pezzi di materiale che mostrano poca cura, un po’ forse per attirare l’attenzione sulle figure principali ma decisamente di un livello più basso.

La vera antagonista del film

Andando alla storia in sé si arriva anche al vuoto centro del racconto.
Il fulcro di tutto è la felicità degli individui ma, anche se il messaggio di trovare la gioia dentro di sé è molto bello, appare evidente fin dall’inizio che gli sceneggiatori non possono aver pensato ad un racconto che possa opporre il lieto fine dei troll alla condanna all’infelicità eterna dei bergen, o viceversa. È quindi semplicemente palese che la storia convergerà verso una soluzione che appacifichi i due popoli appianando gli attriti finendo per concentrare nell’antipatica Chef, e nell’egoista Creek, ogni colpa e ogni accusa.

Il momento più bello del film. Chi dice di non aver riso mente

Scontato, da guardare a occhi chiusi per il piacere della musica
Voto 6+

Note: quando i cartoni animati satirici prendevano in giro gli altri cartoni con unicorni vomitanti arcobaleni non credo si aspettassero di esser presi sul serio… ma in questo lungometraggio le puzzette dei troll sono glitterate;
Il termine bergen non è ripreso, come per trolls, da leggende o racconti tradizionali nordici. Bergen è invece il nome di una città norvegese di dimensioni medio-grandi fondata nel 1070 e denominata la capitale dei fiordi.

Cenerentola e gli 007 nani

SPUNTO n° 92

Ogni fiaba che si rispetti ha il suo “cattivo”. Se infatti andiamo a ripercorrere le storie per l’infanzia, almeno quelle del mondo occidentale, degli ultimi secoli vediamo come sia praticamente sempre indispensabile tale figura. L’antagonista come personaggio fondamentale di tutto il racconto, elemento strutturale primario dello scheletro narrativo della vicenda. Cosa sarebbe la fiaba di Pollicino senza l’orco? I 3 porcellini senza il lupo? La favola del piccolo sarto “Ammazzasette” senza il gigante? Ognuno dei protagonisti ha tratto quantomeno un insegnamento dal proprio incontro con un malvagio. Alcuni addirittura ne sono usciti con gloria, ricchezza o una delle più incredibili storie d’amore. Ma cosa accadrebbe se improvvisamente tali cattivi potessero ribaltare il classico scorrimento di una delle loro storie?
In due film d’animazione del 2007 accade esattamente questo. In ordine di uscita “Cenerentola e gli 007 nani” e Shrek terzo. Il primo di questi due batté di appena due mesi l’altro nella gara per arrivare prima sugli schermi. Diretto da Paul J. Bolger e Yvette Kaplan e basato sui racconti di Charles Perrault e dei Fratelli Grimm il film mischia personaggi tratti da fiabe come Cappucetto Rosso, Cenerentola, Tremotino, Biancaneve e i 7 nani e altre…

Mumbo e Munk

Una voce fuori campo, che poi si rivelerà essere del giovane Rick, sguattero di corte, ci racconte che nel fantastico mondo delle favole vive un potente mago con l’importante compito di controllare l’andamento delle varie fiabe mantenendo l’equilibrio fra il bene e il male e intervenendo quando una delle due parti rischia di prevalere sull’altra cambiando il corretto filo narrativo al quale siamo abituati. Un giorno il mago decide di prendersi una vacanza e lascia il controllo di tutta la propria postazione ai suoi due aiutanti, due mostriciattoli di nome Mumbo e Munk.
Tutto potrebbe filare liscio se non fosse per una discussione fra i due sottoposti del mago che attira l’attenzione della perfida Frieda, la matrigna di Cenerentola. Silenziosamente si avvicina ai due e scopre la potenza degli arnesi del mago: la sua bilancia del bene e del male e il bordone magico. In pochi minuti si sbarazza dei due simpatici personaggi e prende il controllo su ogni fiaba capovolgendo le sorti delle varie storia, compresa quella che riguarda le sue due figlie e la sua serva Ella, nome adattato di Cenerentola.
Da quel momento Ella, Mumbo, Munk e Rick cercano il modo di riportare le cose al proprio posto ma molti ostacoli si opporranno loro…

La perfida Frieda, versione malvagia di Jessica Rabbit

Dal lato tecnico il film non dimostra grandi sforzi o quantomeno non mostra grandi mezzi né con l’animazione né con la colonna sonora. Realizzato interamente con l’ausilio del computer il film rimane sempre di una qualità piuttosto bassa che non supera mai un livello di mediocrità evidente ai più. Imprecisi e goffi i personaggi, scarsi nei movimenti, l’impressione è di vedere un film realizzato con manichini presi dalla vetrina di un negozio di abbigliamento, semplicemente un po’ più snodati.

Colonna sonora all’altezza dell’animazione, cioè scarsina. Durante i quasi novanta minuti di film l’unico pezzo riconoscibile è Baby wants a diamond ring del gruppo musicale Squirrel Nut Zippers e questo non sarebbe un problema se ciò fosse per far spazio a brani di buon livello realizzati appositamente per questo lungometraggio… ma purtroppo così non è. L’unico pezzo vagamente più complicato di una banale musichetta di sottofondo è Hammer’s coming down.

La rivolta dei cattivi

La trama, come già accennato, anticipa di poco la rivolta dei cattivi narrata anche in Shrek Terzo capitanata però da Azzurro, figlio della fata madrina. L’arrivare primi però non ha premiato (e meno male) gli sceneggiatori e i produttori di Cenerentola e gli 007 nani, che difatti non hanno recuperato al botteghino neanche le spese di produzione. Poco approfondita e scontata, questa storia non decolla mai, lasciandoci in trepidante attesa dei titoli di coda fin dai primi minuti.
Unica nota positiva: lo smontamento della figura del principe azzurro.

Voto 4 e mezzo, con il mezzo punto per l’originalità di base

Angry birds – il film

SPUNTO n° 91
Come tutto ha avuto origine

Regola numero 1 del mercato: battere il ferro finché è caldo. Inutile usare risorse e tempo per dare vita a qualcosa di nuovo e raffinato se si può avere un risultato economico simile con uno sforzo minimo.
Sembrano proprio questi i presupposti coi quali nel 2016 arriva nelle sale “The angry birds Movie”, film diretto da Clay Kaytis e Fergal Reilly, alla loro prima e non esaltante esperienza come registi, che per la stesura della sceneggiatura hanno avuto il supporto di Jon Vitti, scrittore per la famosissima serie TV The Simpson.
All’inizio dell’estate 2016, questo film, basato sulla serie di videogiochi e prodotto in tandem dalla Rovio Entertainment e dalla Sony Pictures Imagework, arriva nelle sale dei cinema italiani e, come ogni cosa sufficientemente pubblicizzata, fa confluire una discreta sommetta nelle tasche dei produttori.

Il giudice Beccazampa, la più alta autorità dell’isola

La trama di tutta la vicenda è in sostanza la spiegazione stessa dell’esistenza del gioco. In una tranquilla isola vive una tranquilla comunità di uccelli non volanti, ovviamente senza alcun senso, dove ognuno ha il suo equilibrio e il suo ruolo. Ognuno? No!
Il nostro protagonista Red, il primo uccello-proiettile del gioco, ha un problema con la gestione dei suoi scatti di rabbia e dopo l’ennesima sua deflagrazione emotiva viene condannato a frequentare un corso di controllo di se stessi. Là fa la conoscenza di Chuck, l’uccello-proiettile giallo del gioco e veloce corridore, Bomb, l’uccello-proiettile esplosivo, e Terence, uccello-proiettile gigante.
Uno di quei giorni la routine dell’isola viene interrotta dall’arrivo di una nave dalla quale sbarca una gioviale e caotica comitiva di maiali verdi che si conquista la fiducia dei più esibendosi in spettacoli di cabaret, musicali e feste da discoteca. Red è l’unico a volersene liberare ma, in netta minoranza, non viene nemmeno ascoltato. Ovviamente i maiali non sono i simpaticoni che vorrebbero far credere e… ma cosa trameranno mai!?

Il pupazzo di benvenuto per i nuovi membri degli Alterati Anonimi

Tecnicamente sufficiente l’animazione in CGI del film risente, com’è ovvio, di una carenza di idee che si rispecchia, oltre che nella trama, anche nella caratterizzazione dei personaggi. Esattamente identici al videogioco i simpatici, e antipatici, pennuti non esaltano e non colpiscono in alcun modo mentre i loro verdi antagonisti, maiali orribilmente realizzati (poi perché diamine verdi?), sono anche peggio. Ambienti e paesaggi ugualmente poco freschi e insapori, niente di che.

Sessione terapeutica



La colonna sonora è forse l’unico punto di forza del film ma questo soprattutto grazie alla capacità di scegliere bene fra ciò che il mercato musicale ha già prodotto negli scorsi decenni. Durante il film infatti potete ascoltare diversi brani musicali che vi suoneranno quantomeno familiari e ve ne elenco alcuni: I will survive ma cantata da Demi Lovato; Never Gonna Give You Up di Rick Astley; la recente On top of the world degli Imagine dragons; Behind Blue Eyes cantata da Limp Bizkit; Paranoid dei Black Sabbath; Rock you like an hurricane degli Scorpions.
Carine ma poco impressionanti sono invece Friends, cantata da Blake Shelton, e Wonderful Life (Mi Oh My), cantata da Matoma, DJ norvegese.

Lo sbarco della feccia suina

Come accennato con trama e fantasia della sceneggiatura il film va a picco. Basarsi su un videogame forse non è stata una grande pensata, anche se probabilmente questo non pregiudica che in altri casi possa funzionare. In questo caso però un giochino con la fionda può offrire decisamente pochi spunti e il risultato ne è fortemente condizionato: scarsino. Se poi aggiungiamo il fatto che sappiamo già che i nemici saranno i maiali, che gli uccelli abbatteranno la città dei maiali a colpi di fionda, inspiegabilmente senza morire, e che alla fine ovviamente vinceranno beh… prevedibilità e dozzinalità allo stato puro.
Unico personaggio nuovo rispetto al gioco è La Grande Aquila, quasi totalmente inutile se non fosse per un voletto stentato a fine film.

L’apatica Grande Aquila

Budget del film 73 milioni di dollari, incassi oltre i 300… meno male che la critica, e dopo la visione anche il pubblico, si è negativamente espressa. Su Rotten Tomatoes ha registrato un gradimento decisamente basso

Una delle tante prese in giro del pubblico
Voto 4+

Ribelle – The Brave

SPUNTO n° 90

Quanto mi esalto quando trovo una figura femminile che fa la donna. Non una bambola sballottata fra i marosi delle regole, delle consuetudini, dei ruoli… ma una donna, con volontà proprie, magari anche qualche capriccio, ma fortemente decisa ad avere un ruolo nel tracciare la propria via.

Tutta la famiglia a tavola

Questo secondo caso è quello di “Ribelle – The Brave”, film animato del 2012, diretto da Mark Andrews e Brenda Chapman e tredicesimo, per data di uscita, della Pixar Animation Studios. Gli Oscar del 2013 lo videro anche vincere l’oscar per la propria categoria a scapito dell’unico degno concorrente Ralph Spaccatutto.

Nella Scozia del V secolo d.C. cresce, giovane e innocente, la piccola Merida, una nuvoletta di capelli rossi che si trova più a suo agio nei panni del padre Fergus, Re dei 4 clan (Dunbroch, MacGUffin, Macintosh e Dingwall), che in quelli di sua madre Elinor, la regina consorte e unico timone del regno nelle occasioni formali. La giovane principessa cresce dunque imparando più a tirare con l’arco e a cavalcare che a comportarsi da dama di corte fino a diventare, 10 anni più tardi, una giovane tutta frecce e galoppate, amante delle esplorazioni e delle scalate.
Tuttavia con gli anni è arrivato anche il momento che la giovane principessa del clan Dunbroch sia promessa come sposa ad giovane nobile di uno degli altri clan e su questo punto Elinor e Merida hanno enormi discussioni. Ogni capo clan accetta di proporre il proprio primogenito come pretendente per Merida ma la ragazza, sfruttando un cavillo di una delle tradizioni, ottiene che sia una gara di tiro con l’arco a stabilire chi avrà la sua mano. Alla competizione si presenta come concorrente a sorpresa lei stessa e, complice la totale incapacità dei concorrenti, stravince la propria mano. Tuttavia ciò manda su tutte le furie la regina e fra le due le cose si complicano parecchio…

I tre bizzarri capi clan

L’animazione del film sfrutta molto le doti degli animatori della Pixar con la CGI e l’animazione digitale. Tuttavia, anche se il risultato non è malaccio, non è da quello che lo spettatore resta particolarmente colpito. I personaggi e i caratteri sono decisamente simpatici ma non innovativi e non memorabili.

Ciò che invece fa centro è la colonna sonora. Musiche calzanti ai vari momenti e canzoni che quando non fanno esaltare rimandano decisamente alla cultura folk scozzese formano un pacchetto di tutto rispetto che avvince anche più della storia stessa e questo grazie a Patrick Doyle, principale compositore. Resa piuttosto bene in italiano è la canzone Touch the sky, Il cielo toccherò (interpretata dalla rossa Noemi). Per Learn me right da segnalare invece la collaborazione dei Mumford & Sons, band inglese indie folk nata a Londra nel 2007.

Le gioie di Merida: arco e cavallo

Ma è sulla storia che il film inciampa di più. Se dovessimo riassumerla sinteticamente potremmo farlo in poche semplici frasi. Forse la Pixar risente dell’influenza Disney, forse è solo un caso, fatto sta che una trasformazione di un parente in orso si era già vista con Koda fratello orso, storia ambientata in un Nord America di migliaia di anni fa nella quale l’obbiettivo del protagonista è tornare ad avere forma umana e trovare la propria strada. In Ribelle questi due desideri vengono semplicemente divisi fra i due personaggi di Merida e di sua madre Elinor. Molto tenera l’evoluzione del rapporto fra le due, così come molto dolce l’abbraccio di gruppo anche con il padre e i tre fratellini, che però ricordano fin troppo Qui, Quo e Qua.

“Il cielo toccherò”

Un buon lungometraggio che non mostra però grandi sforzi d’inventiva da parte degli sceneggiatori.

Una Disney Pixar che deve rispolverare la sua capacità di creare, riciclando di meno.

Voto 6 e mezzo

Hair love

SPUNTO n° 89

Precedentemente, allo SPUNTO n° 38, abbiamo parlato, e insieme ci siamo commossi, del corto Pixar d’animazione Kitbull. Lo stesso anno tuttavia a sbancare agli Academy Awards, e non solo, fu il cortometraggio animato prodotto grazie ad una campagna di crowdfounding su Kickstarter e distribuito dalla Sony Pictures Releasing il 14 agosto 2019, prima della proiezione del lungometraggio d’animazione The angry birds movie 2: Hair love.

Diretto da Matthew A. Cherry e co-prodotto da Karen Rupert Toliver questo cortometraggio di sette minuti racconta in poche ma decisamente eloquenti scene una delle difficoltà che un moderno padre afro-americano si trova a dover affrontare quando la presenza della madre non è più possibile.
Zuri è una simpatica bambina che una mattina come tante, mentre si alza dal letto, nota sul calendario un appunto importante. Con un balzo è subito in bagno e, armata di iPad, si accinge a sistemarsi la folta chioma… cosa non proprio facile. In suo soccorso arriva il giovane padre che, nonostante tutta la determinazione e le buone intenzioni, non riesce nell’impresa.
Dopo alcuni fallimenti i due riescono tuttavia a sfangare la situazione e, tutti in ghingheri, si recano all’ospedale cittadino dove una giovane donna, la madre di Zuri, li aspetta per tornare a casa dopo aver sconfitto il cancro.

Primo tentativo

Il corto si mostra realizzato con un’animazione che presenta due aspetti principali: i personaggi, animati in 2d in maniera semplice, quasi tradizionale e a tratti stilizzati (a parte i capelli di Zuri che sono i più curati), e gli sfondi e gli ambienti che hanno colori piuttosto tenui e appaiono come risultato di una tecnica che richiama ad un mix pastello/acquerello.
Colonna sonora, ad opera di Paul Mounsey, Daniel D. Crawford e Taylor Graves, presente come unica traccia continua che, come in molti corti, subisce forti sbalzi emotivi dovuti al rapido avvicendarsi delle situazioni.

Coccole!

In sette minuti passiamo da un normale momento di preparazione in bagno prima di uscire, al disastro, al raggiungimento di un obbiettivo lavorando insieme fino alla lacrimuccia che sgorga da una quasi non accennata situazione drammatica. Il tema principale, introdotto dal titolo, è la cura e l’acconciatura della capigliatura tipica delle etnie afro-americane, ma gli ultimi minuti spostano l’attenzione su qualcosa di molto più forte: la famiglia e le difficoltà che può capitare di affrontare di fronte ad una grave malattia di uno dei membri, in questo caso il cancro della madre. La forza che permette al padre, giovane e dinamico (ma non pratico di acconciature), e alla piccoletta di non mollare scaturisce dalla loro motivazione, il forte legame con la terza importante e fondamentale persona della loro famiglia. Il momento di ricongiungimento sopraggiunge quasi inaspettato e siamo sorpresi almeno quanto la madre quando si vede disegnata come una principessa.

Molto tenero.
Voto 7

La strada per El Dorado

SPUNTO n° 88

Dai primi anni del XVI secolo fino addirittura al più recente ‘900 la leggenda di El Dorado ha acceso la fiamma dell’interesse di moltissime persone che, assetate di ricchezza o di gloria, hanno alimentato la speranza di rinvenire la mitica città d’oro fino a permeare nella nostra cultura occidentale diventandone parte ormai più che nota. Ultimo film ad uscire al cinema, per fare un esempio, con tale leggenda come base ispiratrice è stato Civiltà perduta, 2016, che percorre le avventure dell’esploratore britannico Percy Fawcett fino alla sua sparizione, nell’America latina, nel 1925.

La mappa di Tullio e Miguel

Alcuni anni prima, più precisamente nel 2000, anche il mondo del cinema per ragazzi era stato influenzato dalle leggende di questo mitico luogo di ricchezza e benessere. Fra il marzo e l’ottobre di quell’anno infatti uscì nei cinema, in quelli italiani il 13 ottobre, “La strada per El Dorado”, simpatico film d’avventura che, sfruttando personaggi inventati, a parte il realmente esistito Hernán Cortés, riaffronta il tema della ricerca della città d’oro.
Distribuito dalla Dreamworks Animation, e secondo film nel quale lo studio di produzione ha utilizzato prevalentemente l’animazione tradizionale, è stato diretto da Bibo Bergeron, Will Finn, Don Paul, David Silverman e Jeffrey Katzenberg.

Uno.. due.. TRE!

La storia comincia a Siviglia nel 1519 dove, mentre Cortés si appresta a partire per il nuovo mondo, Tullio e Miguel, due sfaccendati e onesti imbroglioni, si guadagnano da vivere con il gioco d’azzardo truccato. Un giorno le cose non vanno loro lisce fino in fondo e sono costretti a scappare fra i vicoli della città fino a quando non riescono a sfuggire agli inseguitori nascondendosi in due barili che subito dopo vengono chiusi e caricati su una delle navi spagnole in partenza verso il Messico. La spedizione di Cortés lascia il porto di Siviglia con i due che non riescono a liberarsi in tempo per scendere dal vascello. Durante la navigazione Tullio e Miguel vengono scoperti e messi ai ferri ma grazie ad un inaspettato aiuto la loro evasione diventerà possibile. Rubata una scialuppa si ritrovano a vagare nell’Oceano Atlantico con poca acqua, poco cibo e senza una rotta. Passano alcuni giorni e, quando tutto sembra perduto, la piccola imbarcazione arriva dolcemente a toccare terra. Esplosioni di gioia incontenibile invadono il piccolo gruppo di passeggeri che però si ritroverà subito a fare i conti con una terra ostile, bellissima, che non mostra di conoscere minimamente la mano dell’uomo. Unico indizio per trovare una qualche forma di civiltà una dubbia mappa vinta ai dadi sul selciato delle strade di Siviglia. E l’avventura comincia…

Cortés, rigido e spietato

Come già accennato il film è realizzato in animazione tradizionale e, considerando i prodotti della Dreamworks, ciò lo rende quasi una rarità. La caratterizzazione dei personaggi è molto marcata e, a parte alcuni indios e alcuni gendarmi spagnoli, non è difficile seguire la vicenda senza mescolare le varie identità. Anche gli animali, seppur presenti in minima parte, hanno il loro perché e una forte espressività “facciale” che li rende piuttosto rilevanti sulla scena. Ambientazioni molto belle, forse non curate fino ai minimi dettagli, ma di grande effetto.
Tuttavia c’è da fare un appunto. Esistono alcuni momenti nei quali la Dreamworks non è riuscita a fare a meno di usare l’animazione digitale. Sto parlando degli attimi nei quali i due si ritrovano, rispettivamente, prima a venir caricati a bordo mentre sono chiusi nei barili e poi in navigazione nell’Oceano durante una tempesta.

Capo Tannabok e il grand sacerdote Tzekel-Kan

Per quanto riguarda la colonna sonora il film si fa decisamente apprezzare e, se guardiamo ai grandi nomi che si celano dietro gli spartiti, non c’è da stupirsi. A comporre e interpretare la maggior parte dei brani sono stati infatti Elton John e Tim Rice, il primo dei due alle prese con la quarta colonna sonora realizzata per un film. Inoltre, al gruppetto dei composers, si aggiungono i nomi di Hans Zimmer, che lo stesso anno sarebbe stato candidato all’Oscar per la colonna sonora de Il Gladiatore, John Powell, con un passato e soprattutto un futuro di stretta collaborazione con la Dreamworks e Patrick Leonard, tastierista, compositore e produttore musicale che annovera fra le sue esperienze molte collaborazioni con volti più che noti del mondo della musica.
Sebbene tutte le tracce abbiano qualcosa da dire quella che meglio incarna l’anima del film è La nostra via (The Trail We Blaze).

Concettualmente il film non può rivelarsi granché, non è nelle sue carte. Si presenta infatti come una commedia avventurosa a lieve sfondo storico, forse più leggendario, che ha come unico tema l’amicizia che sopravvive ad ogni prova e la capacità di fare la scelta giusta per il bene di molti anziché quella egoistica per il bene di uno solo o pochi individui.
Divertente, scorrevole, si rivela adattissimo ad un giovane pubblico e qualche risata può strapparla anche ai più grandi. Non molto azzeccato, visto il target del film, il momento, semi nascosto, nel quale Tullio intrallazza con Chel.
Nell’insieme un film molto carino, senza grosse pretese se non quelle di avvincere sfruttando la fantasia e la voglia di esplorazione del mondo dei propri spettatori.

Voto 6 e mezzo

Note: in molti hanno letto un chiaro riferimento a Lo squalo nella scena nella quale un pescecane si magna uno stanco gabbiano caduto su una sporgenza della scialuppa dei due compari… non esageriamo, siamo sempre nell’Oceano.

El Cid – la leggenda

SPUNTO n° 87
Un’altra locandina del film

Meno famosa di Robin Hood ma sicuramente altrettanto importante è la figura del Cid Campeador, leggendario cavaliere e condottiero spagnolo, realmente esistito, del XII° secolo.
Il suo vero nome era Rodrigo Dìaz de Bivar ed era membro di una delle famiglie nobili castigliane.
Le sue gesta sono rimaste famose, fino a farne quasi una leggenda, per il ruolo che ha rivestito durante la reconquista spagnola della penisola iberica. Signore di Valencia dal 1094, Rodrigo morì nel 1099 lasciandosi dietro una scia di gloria che, nei secoli a venire, ne avrebbe accresciuto la fama.
Nel 2003, precisamente il 12 novembre, arrivò sugli schermi dei cinema italiani un riadattamento d’animazione sulla storia del leggendario guerriero castigliano che tanta importanza ebbe nella cacciata dei mori dalla Spagna: “El Cid – la leggenda”. Diretto da José Pozo, il film è stato prodotto dalla Filmax International, una società di produzione e distribuzione spagnola nata nel 1951, ma in Italia è stato distribuito dalla Medusa Film.

Due immagini tratte dal prologo introduttivo

La storia comincia nell’anno 1064 e una voce fuori campo ci narra gli eventi che precedono l’ascesa del Cid sulla scena militare, mentre una semplice tecnica d’animazione in 2d ci illustra al meglio i fatti principali. La fine delle ostilità con la conquista di Coimbra da parte di Ferdinando I il Grande. In seguito a tale evento comincia un periodo di pace per mori e cristiani fino all’arrivo al potere di Ben Yussuf. Deciso a conquistare tutta la penisola Yussuf spazza via chiunque non si schieri con lui, sia esso cristiano o musulmano e man mano che procede nella sua conquista riceve rinforzi provenienti dalle coste africane.
A questo punto termina la narrazione scolastica e cominciamo a vedere più da vicino le dinamiche di palazzo nelle corti castigliane. Sancho Fenarndez e Rodrigo Diaz de Vivar sono due giovani rampanti di famiglia nobile e, sebbene già più che cresciuti, sono ancora solamente dei ragazzoni.
Il padre di Rodrigo, Diego Laìnez de Vivar, termina in quei giorni il suo servizio come alfiere del Re e tale compito viene assegnato al Conte Gormaz, padre della bella Jimena, della quale Rodrigo è innamorato.
Di ritorno da una missione di ricognizione Rodrigo e altri più esperti combattenti trovano il regno in lutto per la morte del sovrano… e cominciano complotti, guai e incomprensioni che porteranno Rodrigo all’esilio.
Intanto gli almoravidi continuano nella loro avanzata e Rodrigo, con pochi fidi guerrieri, decide di impegnarsi nel contrastarli al fine di riconquistare la fiducia del nuovo Re e la propria dignità.

Il cattivo Ben Yussuf, al quale nel doppiaggio italiano è stato donato un tono di voce che lo ridicolizza

Tecnicamente il film si presenta prevalentemente con un’animazione tradizionale che però ha al suo fianco due estremi che consistono il primo, in un piatto 2d, nella parte narrativa che introduce tutta la vicenda e il secondo, in 3d con uso di animazione digitale, in alcune scene che mostrano torme di cavalieri a cavallo. Il risultato che ne esce è abbastanza soddisfacente ma quello che invece si dimostra poco convincente è proprio il disegno in sé che risulta troppo semplice riducendo i vari personaggi a delle copie, simili fra di loro in tutto tranne che per pochi dettagli. Nei primi 15 minuti di film ho fatto una grande fatica a capire chi fosse chi, un po’ come con gli omini della LEGO.
Ma se anche fosse più semplice identificare i vari volti non sarebbe comunque credibile che tutti abbiano enormi muscoli delle braccia e delle gambe (con polpacci che neanche un lottatore di sumo) che fanno sembrare le loro teste qualcosa di minuscolo. Sproporzionati e grotteschi. Meglio invece, anche se sempre simili, le espressioni facciali.
Paesaggi e ambienti sono semplificati quasi al massimo e non soddisfano gli occhi di uno spettatore affamato di grandiosità.

Il momento nel quale Rodrigo diventa El Cid
(non vi sembra Sean Connery?)

Musiche poco incisive, decisamente più indietro della parte tecnica, riescono giusto a far da contorno agli eventi ma senza aumentare l’efficacia narrativa ed emotiva della storia. Brano musicale che accompagna i titoli di coda è l’orecchiabile ma sdolcinato La fuerza de mi corazón, cantato in duetto da Luis Fonsi e Christina Valemi.

Film a tema epico e cavalleresco ha come soli argomenti l’amore fra dama e cavaliere e la giustizia, al servizio del proprio Paese, in questo caso del proprio Re. Dovrebbe anche essere un minimo storico ma una rapida ricerca può farvi apprendere quanto invece i fatti siano stati molto rimescolati ai fini di una narrazione che forse è stata ritenuta più appropriata, anche se il tutto rimane di scarso effetto.

Rodrigo e i suoi compari. Notare polpaccioni, braccioni e cavalli ciccioni… in una macelleria c’è meno carne

Poco coinvolgente, poco curato sotto molti aspetti.

Voto 6-
ma grazie al Cid

Nota: nel 2004 El Cid – la leggenda ha vinto il premio Goya per il miglior film d’animazione ma vien da chiedersi che cosa fossero gli altri lungometraggi in concorso.

Next Gen

SPUNTO n° 86
7723

Netflix, lo sappiamo, si occupa più della distribuzione di film e serie tv, dei quali ha acquistato i diritti, che della loro produzione. Se alcuni suoi prodotti fanno eccezione, e per il cinema d’animazione la conta è ferma a 2, altri invece rientrano perfettamente in questo suo modo di operare. Nel 2018 la società di distribuzione fondata da Reed Hastings e Marc Randolph si aggiudicò, per la somma di 30 milioni di dollari, i diritti di distribuzione internazionale (a quanto pare Cina esclusa) del film d’animazione in CGI “Next Gen”. Diretto dai registi Kevin R. Adams e Joe Ksander, il film è stato realizzato grazie allo sforzo combinato di produzioni cinesi e canadesi che si sono però avvalse anche del lavoro di professionisti statunitensi del settore del cinema d’animazione.

L’abbandono da parte del padre

Ambientato non si sa bene in quale grande metropoli di un futuro non troppo lontano, Next Gen ci narra la storia della giovane Mai, giovane adolescente che, complice l’abbandono subito da parte del padre, non riesce a crescere senza lasciarsi condizionare in ogni cosa dai tristi eventi passati della propria vita. Insieme a lei vivono la madre, Molly, e uno strano micro-cane, un botolo di nome Momo.
Il mondo in cui tutta la vicenda si svolge appare come un universo col quale potrebbero aver a che fare le prossime generazioni. I robot sono letteralmente presenti in ogni angolo della città: robot poliziotti; robot volanti per controllare le vie e i quartieri; robot pettini; robot domestici tuttofare; ecc… Nonostante sia cresciuta immersa in tutta questa tecnologia Mai non è ancora riuscita ad abituarvisi e vive una vera e propria crisi di rigetto nei confronti di questi onnipresenti umpalumpa elettronici.
Un giorno, fuggendo dalla presentazione dell’ennesimo modello di robot domestico, alla quale era stata subdolamente condotta dalla madre, Mai si imbatte in uno strano e molto diverso robot che, per uno sghiribizzo del caso, si attiva e si mette a seguirla… fino a casa. Un secondo incontro fra i due svelerà alla giovane quali incredibili capacità distruttive il robot abbia e da quel momento i due diventano prima complici, poi amici, distruggendo ogni robot come una coppia di vandali impazziti. Ovviamente le cose non potranno andare avanti così e non passerà molto tempo prima che la loro crociata anti-robot diventi un caso…

L’incontro di Mai con 7723

L’animazione del film è stata realizzata, piuttosto evidente, con la CGI, ma è da segnalare il particolare che per la maggior parte del lavoro è stato utilizzato il software Open Source Blender. La resa visiva è senz’altro ottima, anche perché la cura dimostrata da molti tratti e caratteri dei personaggi salta all’occhio: il simpatico e arrogante botolo di Mia, gli stessi capelli della giovane protagonista; meno entusiasmanti invece i robot, che acquisiscono più definizione e dettagli quando sono mezzi distrutti.

Colonna sonora formata, come di consueto, più da brani strumentali che da canzoni vere e proprie. Tuttavia oserei lasciarvi il collegamento di due pezzi che sono riusciti a colpirmi e che, rispettivamente, aprono e chiudono tutto il lungometraggio: il primo che è un montaggio di Mai, che accompagna lo svolgimento degli avvenimenti che hanno segnato l’infanzia della giovane protagonista, insieme a Rebel girl, dei Bikini Kill,che ne segue invece la crescita da quel momento in poi; il secondo è Clearly di Grace VanderWaal che ci porta ai titoli di coda e ci fa immaginare un futuro diverso e pieno di amici per la nuova Mai.

Justin Pin al talk show di Nima

Se la parte tecnica del film risulta molto curata, e non si può che apprezzarne i risultati, altrettanto non si può dire per la trama, che si mostra come risultato di un incrocio fra film, d’animazione e non, già preesistenti. Ritroviamo la rivolta delle macchine di Terminator, il robot buono ma potenziale killer di Big Hero 6, e altri dettagli presi da altrettanti film di fantascienza che fanno ormai parte del nostro immaginario in merito a tali temi.

Il regalo di 7723 per Mai

Molto forte il tema della perdita di una persona cara, più che altro per i vari richiami ripetuti durante il racconto, e altrettanto forte quello dell’amicizia che si sviluppa fra la ragazzina e il robot.Purtroppo sono entrambi offuscati dalla frenesia degli avvenimenti e dalla troppa azione contenuta nel film che finisce per prendersi la maggior parte della scena.
Mal sfruttati per quella che poteva esserne la portata.


I contenuti contano
Voto 6-

Note: il magnate della tecnologia Justin Pin ricorda molto il compianto Steve Jobs, anche se in una versione che presenta un look più contemporaneo; il film si ispira al fumetto online 7723 della Wang Nima, etichetta fondatrice ed editrice del più famoso e seguito sito di rage comics cinesi Baozou Manhua (fonte), la cui caratteristica immagine compare come faccia del presentatore di un talk show.

Lava

SPUNTO n° 85

Abbiamo già parlato, allo SPUNTO n° 19, del grande successo del film, prodotto dalla Disney Pixar, Inside out. Se, come me, vi siete recati al cinema, in un giorno qualsiasi dopo la sua uscita in Italia (il 16 settembre del 2015), e gli avete dedicato circa 90 minuti del vostro tempo avrete anche assistito alla proiezione, prima del film, del cortometraggio distribuito dalla Pixar a nome Lava, diretto da James Ford Murphy, con intuibile protagonista un vulcano di qualche paradisiaca parte del mondo.

Uku, poco prima di essere sommerso dalle acque

Nei sette minuti animati (non parlo dei sette nani di Biancaneve) osserviamo una breve e infinita vicenda che ha per protagonista Uku, un tozzo vulcano che più di tutto desidera incontrare l’amore che gli sconvolga la vita. Ogni giorno, o forse anche più spesso, il nostro roccioso protagonista canta il suo forte bisogno di amore ripetendo un ritornello che in qualche modo viene udito, sotto centinaia di metri d’acqua, da un vulcano femmina, Lele, che però non ha la minima idea di chi sia il cantante. Passano gli anni, i secoli, i millenni e il nostro Uku, ormai consumato dall’erosione e sprofondante nell’oceano, assiste, appena in tempo, ad una spettacolosa eruzione che porta Lele ad affacciarsi ben sopra la superficie del mare. Uku affonda ma a quel punto è Lele che, ancora non conscia dell’esistenza dell’altro, comincia a cantare il suo stornello. Al solo udirla il magma di Uku ribolle e una nuova eruzione lo riporta in superficie, accanto alla sua nuova, è proprio il caso di dirlo, fiamma.
Il tutto si conclude col duetto canoro dei due che finalmente aggiungono qualche nuova parola allo stornello.

Lele, ancora in veste di vulcano sottomarino

Come avrete intuito dalla mia ultima frase non ho molto in simpatia questo corto, ma procediamo con ordine.
Tecnicamente alla Pixar spetta il solito plauso per l’animazione anche se la sensazione è che si sia risparmiato qualcosa durante la lavorazione, tanto non vi sono personaggi che incontriamo tutti i giorni e eventuali imprecisioni, o mancanze di dettagli, non si notano.

Uku, il tuo secondo nome è sfiga

Musicalmente è un latte alle ginocchia a getto continuo. Praticamente una sola traccia musicale, evidente brutta copia di Somewhere over the rainbow, ci accompagna dal primo fino all’ultimo secondo lasciando in pace i timpani solo in un breve caso mentre Lele emerge. Ho provato, nonostante il mio non fluente inglese, a visionare il tutto in lingua originale e sinceramente l’impressione è che l’adattamento italiano, seppur bene interpretato da Giovanni Caccamo e Malika Ayane, potesse esser fatto parecchio meglio senza grossi sforzi. La metrica in particolare è un disastro che, ricercato o meno, rende ancora più indigesto il tutto.

Il non opinabile, e in questo caso assolutamente indispensabile, lieto fine

Una lentissima love story che celebra la fedeltà nell’amore infinito fra due individui e la ricerca della propria metà. Tutto molto bello, non molto tenero, ma in sintesi una storia noiosa ed estremamente lenta, e non per il solo passare dei secoli del quale si ha la sgradevole sensazione di viverlo realmente dalla poltrona del cinema.

In poche parole, il corto più noioso al quale la Pixar abbia associato il proprio nome.

Voto 5

Nota: il nome originario inoltre giocava sulla somiglianza fra le parole inglesi lava e love, la cui pronuncia differisce non di molto. Con la traduzione italiana anche questo è venuto meno e il mantenimento del titolo si rivela pressoché inutile; Uke e Lele insieme formano il nome dello strumento utilizzato per tutta la colonna sonora: l’ukulele.

Kung fu panda

SPUNTO n° 84
La routine di Po nel ristorante del Signor Ping, suo padre

Quanti di noi, forse più spesso i maschietti, da piccoli hanno immaginato, sognato, finto di essere protagonisti di combattimenti immaginari con un’infinita serie di cattivi che insidiavano, minacciosi, la serenità di amici, persone care o anche solamente dei più deboli. Io personalmente avevo il mio fortino, costruito insieme alle mie sorelle, fatto di sedie, lenzuoli, mollette e cuscini, all’interno del quale era impossibile a chiunque penetrare. Spesso al mio fianco vi era un piccolo esercito di peluche, in genere animali, che diventavano improvvisamente strenui guerrieri in grado di sferrare i colpi più micidiali.
Nel 2008 un film d’animazione della Dreamworks ha fatto diventare realtà questa fantasiosa e antropomorfa capacità di combattere che assegnavamo agli animali. “Kung fu panda” portò nelle sale italiane quasi 3 milioni di spettatori e alla nomination all’Oscar 2009 come miglior film d’animazione non seguì la statuetta solo perché si trovò a concorrere con il commovente e, a tratti, più serio Wall-e che, anche se di minor successo al botteghino, riscosse enorme approvazione fra la critica.

Due scene dell’allenamento personalizzato di Po

Diretto da Mark Osborne, regista anche de Il piccolo principe (2015),e John Stevenson, già animatore in Shrek e Shrek 2, questo lungometraggio è tutt’ora il film d’animazione, non sequel, della Dreamworks che detiene il record per il maggior successo al botteghino.

La storia comincia con una strana grafica 2d molto elementare che ci illustra uno dei sogni del giovane panda Po, il protagonista, che vive con suo padre, Ping,nella casa sopra la spaghetteria di famiglia. Nel risveglio di Po la grafica si modernizza e vediamo come il goffo e simpatico panda vive la sua vita di tutti i giorni. Tavolo dopo tavolo il cicciottello non-ancora-eroe cerca di adempiere al meglio al suo dovere come cameriere fino a quando la scena non si sposta, con una zoomata, all’interno del Palazzo di giada dove Shifu, maestro dal nome alquanto identificativo, allena con estremo rigore e severità i suoi allievi. Una funesta previsione di Oogway, il maestro di kung fu a capo del palazzo, manda Shifu in agitazione e spinge i due a chiamare a raccolta il popolo della Valle della pace per celebrare la cerimonia di scelta del Guerriero Dragone.
Subito centinaia di volantini vengono affissi ovunque e Po, da sempre appassionato di kung fu, si reca, in qualche modo, fino all’ingresso del palazzo per assistere al grande evento. Purtroppo il carretto degli spaghetti affibbiatogli da suo padre lo rallenta e al suo arrivo sbatte contro le porte già chiuse della mistica dimora dei maestri e allora gli resta solo il suo ingegno per superare le mura, ma accadrà qualcosa che lui per primo non si aspettava…

Il cattivo del film: Tai Lung

La tecnica dell’animazione, ricordatevi che siamo comunque già nel 2008, è estremamente curata soprattutto perché gli animatori hanno dovuto confrontarsi con stili di lotta del kung fu realmente esistenti e realmente riferiti agli animali che sono stati presi per la caratterizzazione dei personaggi. Tigre, Gru, Mantide, Vipera, Scimmia, lo stesso Po e anche i due maestri Shifu e Oogway presentano caratteristiche nei movimenti, in particolare durante i combattimenti, che rispecchiano proprio la loro specie animale. Particolari molto curati, ad esempio notiamo i peli del musetto peloso di Shifu, e spettacolari ambienti completano una realizzazione da applausi.

I 5 cicloni



La colonna sonora (theme), affidata al provato talento di Hans Zimmer (il medesimo di Pirati dei Caraibi e Il gladiatore), è stata realizzata dopo il viaggio in Cina che lo stesso compositore ha voluto compiere, durante il quale ha anche avuto la possibilità di confrontarsi con la China National Symphony Orchestra. Per i brani musicali Zimmer si è avvalso anche del contributo di Timbaland, musicista e rapper statunitense, mentre la canzone che potete ascoltare durante i titoli di coda conclusivi, Kung fu fighting, è di Carl Douglas ma reinterpretata da Cee Lo Green insieme a Jack Black.

Il film tenta di proporre parecchie tematiche ai quali uno spettatore può interessarsi e molte di esse possono rivelarsi estremamente educative per un pubblico giovanile. Il rapporto genitore-figlio, il credere in se stessi, il non fermarsi alle apparenze, la capacità di vedere in ciascuno un qualcuno di speciale (ovviamente a suo modo), la crescita dell’individuo. Inoltre molti personaggi dimostrano pregi propri: l’umiltà di Gru, il rispetto di Tigre, la lealtà di Scimmia, la rettitudine di Vipera, la fiducia negli altri del piccolo Mantide. Altri invece, come Shifu, sebbene sembrino i più grandi, mostrano soprattutto di dover crescere… come ogni adulto che si ritrova a guardare questo film.

Qualunque cosa tu faccia quel seme diventerà un pesco.
Magari tu desideri un melo o un arancio, ma otterrai un pesco.”

Riscopriamo l’accezione positiva del verbo “accontentarsi” e proviamo a discernere fra quando è bene e quando è male.

Voto 8-

La famiglia Willoughby

SPUNTO n° 83
The book

Famiglie di supereroi, famiglie di americani medi, famiglie divise e ricucite con altre, famiglie di cavernicoli, famiglie senza un padre, famiglie senza una madre.
La storia del cinema d’animazione è letteralmente costellata di produzioni e lungometraggi che portano in primo piano, o almeno ne fanno il basilare contesto, il tema della famiglia, con tutte le sue peculiarità, possibili diversità e enormi difficoltà.
Nel 2020 il colosso dello streaming Netflix ha reso disponibile sulla propria piattaforma il secondo film d’animazione distribuito dalla stessa Netflix: “La famiglia Willoughby” diretto dai registi Kris Pearn e Rob Lodermeier e basato sull’omonimo libro The Willoughbys di Lois Lowry (prodotto dalla BRON Animation e dalla Creative Wealth Media).

La scena, presente anche nel trailer, nella quale Jane canta in camera sua, osservando il mondo lontano chiuso appena oltre il cancello di casa loro

In una città moderna, ma in una casa d’altri tempi, vivono i Willoughby, famiglia con alle spalle generazioni di personaggi che si sono distinti dalle masse e hanno fatto la storia. Guerrieri, poeti, artisti, avventurieri e tanti altri sono i ruoli e i mestieri dei quali risplende il passato dei Willoughby. Ma al presente le cose non vanno altrettanto bene. I Willoughby sono adesso una famiglia composta dai due genitori, Padre e Madre, e dai loro quattro, malcapitati, figli: Tim, Jane e i gemelli, anche di nome, Barnaby. I due genitori centrano la propria esistenza sull’amore reciproco, totalmente non curanti di tutto il resto del mondo, sia per problemi che per esigenze, e i disgraziati figli rientrano, loro malgrado, nel resto del mondo. La presenza dei quattro giovani viene vissuta come una disgrazia da parte dei due adulti che non mostrano la minima cura nei loro confronti né il minimo interesse a quello che può essere il loro destino. Incubo di ogni bambino, Padre e Madre, non sappiamo neanche i loro nomi, elargiscono ai figli lo stretto necessario, quando capita, perché sopravvivano, pretendendo da loro la totale invisibilità all’interno della loro casa.
A seguito di uno strano evento Jane si rende conto che la famiglia Willoughby sarebbe più grande e felice se i due genitori non ci fossero e convince i fratelli a organizzare un viaggio dei sogni, con molti pericoli mortali, per i loro genitori…

Passando agli aspetti tecnici del film opterei per cominciare, contrariamente al solito, dalla colonna sonora. Tutto il film è caratterizzato da brani musicali, il più delle volte piuttosto brevi, che assolvono piuttosto bene il loro basilare compito di aumentare e migliorare l’efficacia delle situazioni, fornendo un contributo essenziale per illustrare allo spettatore il momento emotivo e narrativo in corso. A parte ciò però non vi è alcunché di particolarmente rilevante, nella colonna sonora, che spicchi o che coinvolga particolarmente chi sta guardando il film. Un unico tentativo per innalzarne il valore viene fatto con la canzone I choose, cantata da Alessia Cara, che, a spezzoni e in vari momenti del film, ci viene proposta dalla secondogenita Jane. In genere il brano in lingua originale rende meglio che dopo la traduzione, ma se la versione italiana appare bruttina e non in grado di suscitare emozioni né di appassionare, la versione originale non dimostra niente per cui vada la pena di aggiungerla ad una playlist.
Se la musica non colpisce l’aspetto tecnico relativo all’animazione adempie un po’ meglio al suo dovere. I personaggi sono ben caratterizzati, a parte il Comandante Melanoff,e gli ambienti e i dettagli piuttosto curati, bravi. Quello che però appare fin da subito è la con-fusione fra le tecniche d’animazione utilizzate. Il film è animato interamente in CGI ma, già dal primo sguardo, si nota che i movimenti dei personaggi vanno a scatti, non fluidi, e non ci si rende conto se sia realizzato con mezzi digitali o con la tecnica della stop motion. Forse si tratta di una scelta stilistica, e l’esperienza insegna che bisogna pensarla come qualcosa di nuovo e pertanto bello, ma la realtà è che il risultato è scarsino, dando l’impressione di fare un passo indietro rispetto ai grandi balzi avanti dell’ultimo ventennio.

I Willoughby e la tata Linda incontrano il comandante Melanoff

Analizzato il pacchetto vediamo il contenuto. Famiglia. Nient’altro. In tutto il film vi è quest unico tema, leggermente innaffiato con una minima crescita di alcuni dei personaggi, e sviluppato in maniera abbastanza scontata. Fin da quando compaiono per la prima volta insieme sullo schermo gli altri due personaggi adulti del racconto, la tata Linda e il Comandante Melanoff, è abbastanza chiaro come andrà a finire la storia.
Nessuna redenzione, nessun colpo di scena, nessuna sorpresa e il tutto in un filo narrativo che dimostra troppa fretta e una discreta carenza di idee.

L’unica idea vincente è quella che si palesa fin dall’inizio: una favola al contrario dove le figura che solitamente sono buone in questo caso sono cattive e viceversa, ma il merito di questo è dell’autore del libro.

Voto 5+
complice il fatto che siamo abituati a prodotti Netflix parecchio, ma parecchio meglio.
Dopo Klaus questo appare come un flop.

P.S: il gatto narratore sa di poco, un intruso nella storia.

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